Cosmo bioenergetico

Solo un passo falso..., Passo falso.

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TOPIC_ICON14  view post Posted on 2/12/2013, 08:46
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PASSO FALSO


di Umberto Marino

■ L’uomo che sta per morire è in pausa.

Davanti alla macchinetta del caffè parla con un collega del campionato di serie A.

Si gratta la testa, ha solo quarantacinque anni e gli scoccia di perdere i capelli, ma li sta perdendo.

Pensa che può fare una di quelle cure che pubblicizzano in televisione oppure radersi a zero come ha fatto il suo amico Dario.

Tra poco deve tornare sulla gru.

Rimettersi il casco.

Dev’essere stato lo sfregamento dell’interno del casco che gli ha fatto venire quel prurito, un paio di mesi fa, e poi i capelli hanno cominciato a restare nel pettine.

Pensa che il casco non se lo vuole mettere fino a quando non arriva alla gru.

■ Il figlio dell’uomo che sta per morire ha dodici anni.

E’ leggermente sovrappeso, di notte gli fanno male le ossa, si sente crescere e prova desiderio e dolore.

Il ragazzino sta seduto nel suo banco delle medie e con la riga di bachelite scosta un ciuffo di capelli dal collo del compagno davanti.

■ La moglie dell’uomo che sta per morire ha quarant’anni.

E’ preoccupata, ha fatto il cambio di stagione e i jeans le stanno stretti.

Pensa che dovrebbe andare in palestra, ma il figlio deve mettere l’apparecchio per i denti e loro non ce la fanno a reggere la spesa dal dentista e la retta di una palestra.

La donna è sul motorino delle Poste, sta facendo il solito giro per consegnare la posta.

Pensa che ci sono sempre meno portieri nei palazzi.

■ Il figlio dell’uomo che sta per morire viene beccato dalla professoressa d’inglese.

Lui lo sa che non è una cosa buona.

Quella d’inglese gli ha già messo una nota in condotta due settimane fa e suo padre si è incavolato.

Spera di non prendere un’altra nota.

Pensa che sarebbe bello essere liberi, non avere i genitori che ti rompono sempre.

Immagina Assassin’s Creed che gira sul televisore e lui che spara ai professori e ai genitori mentre salta e fa giravolte tra i merli di un castello cinquecentesco.

La professoressa d’inglese grida che è un maleducato e gli mette una nota.

Chiamerà il padre a scuola per parlarci.

■ Il collega dell’uomo che sta per morire gli cammina accanto fumando una sigaretta fatta con il tabacco sfuso e le cartine. Non è contento di quel modo di fumare, sembra che uno si stia facendo una canna e questo non gli piace, ma le sigarette normali costano troppo, c’è la crisi e o ti compri le sigarette o fai le vacanze in camper.

Il collega dell’uomo che sta per morire zoppica un po’, si è operato al menisco un mese fa, ma gli hanno raschiato anche una specie di callosità della rotula e non ha potuto fare una riabilitazione completa perché doveva tornare al lavoro, e così zoppica un po’ (anche se si sforza di nasconderlo) e ogni tanto gli manca il ginocchio e così fa una specie di passo falso.

Comunque si sforza di stare dietro al suo collega perché vuole sembrare efficiente fisicamente, ci sono troppi stranieri nei cantieri, gente giovane, con i menischi a posto.

■L’uomo che sta per morire, entra nella parte recintata del cantiere.

La si deve attraversare tutta, per arrivare alla gru è quasi un chilometro.

Ha il casco in mano.

Guarda il cielo che si va scurendo e pensa a sua moglie.

Pensa: lei non mi vuole bene. Perché?

Pensa: perché non è possibile volersi bene?

Perché c’è sempre una distanza così grande tra persone così vicine.

Incolmabile, pensa che è così si dice per quel tipo di distanze.

Incolmabile significa che non si riesce a riempirla, uno porta secchi e secchi pieni di amore allo stato liquido e non riesce a riempire quel pozzo che ti divide.

C’è il pozzo, scuro, al centro della scena e poi ci sei tu da una parte e lei dall’altra.

Pensa che quei due, che lui e sua moglie, si guardano e non sanno che fare.

Pensa che forse bisognerebbe gettarsi nel pozzo tutti e due.

■ Il figlio dell’uomo che sta per morire è in piedi davanti alla preside, che sta cercando sul computer il numero di telefono del padre del ragazzino per avvertirlo che il figlio ha preso una nota.

Il ragazzino pensa: porca puttana troia. Normalmente non dice molte parolacce, ma questa volta le pensa per sottolineare a se stesso che si è cacciato in un brutto guaio.

■ Porca puttana troia. Anche l’uomo che sta per morire lo pensa.

Ha sentito una specie di cigolio in alto.

Ha alzato gli occhi e lo ha visto: il carico della gru oscilla proprio sopra la sua testa.

E' un pezzo di cemento prefabbricato, una fioriera da piazzare sul bordo dei balconi del palazzo.

L’uomo pensa: ma che fa quello nuovo che hanno preso alla gru due?

■ Il collega dell’uomo che sta per morire ha guardato in alto.

Anche lui ha sentito il cigolio.

Il ginocchio gli ha ceduto e ha perso il ritmo del passo.

■ L’uomo che sta per morire non ha perso il ritmo del passo, ha accelerato istintivamente.

Ha pensato: meglio spostarsi, non si sa mai.

Ha pensato che il vascone di cemento era assicurato al cavo d’acciaio della gru, che magari si era svincolato, ma non poteva cadere.

Ha pensato che comunque era meglio spostarsi, non si sa mai.

Poi ha fatto un errore.

Si è voltato verso il suo collega e ha visto che si era fermato.

Ha fatto un passo verso di lui, voleva dirgli di spostarsi.

■ Ma il cellulare gli ha squillato nella tasca e istintivamente ha fatto per afferrarlo.

Non saprà mai che la preside della scuola di suo figlio deve fargli una comunicazione.

Ha solo istintivamente portato la mano verso il cellulare e si è fermato lì in mezzo.

■ Il vascone che sta per uccidere l’uomo con un figlio e una moglie era stato legato con una corda da quello nuovo.

■ L’uomo che sta per morire lo aveva detto al direttore del cantiere che i ragazzetti certi lavori è meglio che non li facciano, soprattutto se non hanno esperienza, e per fare un nodo scorsoio fatto bene non basta fare il primo cappio, ma bisogna tirare bene la corda e arrotolare parecchie volte il capo libero su quello teso.

Ma il direttore del cantiere non lo è stato a sentire.

■ Il nodo scorsoio non è stato fatto bene e il capo libero si è srotolato lungo il capo teso.

Il cappio si è allentato.

La corda è scivolata sul bordo di cemento del vascone.

Il cappio è arrivato sullo spigolo e l’oscillazione del cavo d’acciaio ha srotolato il capo libero.

Il vascone si è svincolato ed ora cade.

Il grido di un gabbiano.

Stridulo.

■ Per un attimo l’uomo che sta per morire pensa che ormai i gabbiani arrivano fino al centro della città e gracchiano come i corvi.

Forse portano sfortuna o annunciano sventura.

Poi arriva il colpo.

Un colpo sordo, come di un sacco di gesso buttato giù da un camion.

Poi silenzio e buio insieme.

Poi tornano i suoni, come emergendo da dietro un sipario ovattato.

■ Il vento fa tintinnare le stecche degli ombrelloni di un bar.

Un televisore acceso in una casa di vecchi spara nella strada la voce dello speaker del telegiornale: il governo ha ottenuto …

Le macchine passano.

Piccole scie di suono di utilitarie, grandi fruscii di pioggia di autocarri.

Uno stereo acceso che suona a tutto volume un pezzo ossessivo, da discoteca. Unz unz unz unz.

Il grido di un ambulanza che si avvicina.

■ L’uomo che sta per morire pensa che il suono della sirena è bitonale, che si chiama bitonale.

Ha le frequenze del pianto dei bambini, per bucare il rumore del traffico ed allarmare.

■ L’uomo che sta per morire pensa: ma perché penso a questo, perché continuo a ripetermi che è bitonale e ha le frequenze del pianto dei bambini?

Perché sento che si avvicina?

Perché porta luce e realtà?

L’uomo sente che la sirena si avvicina e il resto dei suoni fa un passo indietro, la sirena riempie tutto.

Da destra irrompono voci di uomini che chiamano, parlano in fretta, gridano.

L’uomo non capisce le parole, cosa stanno gridando?

■ Il collega dell’uomo che sta per morire è stato sfiorato dal vascone di cemento e ha visto tutto.

Il collega gli è sparito da davanti gli occhi e lui non è riuscito neanche a gridare.

Si è chinato sul collega e ha visto il sangue e una cosa bianca e rossa in mezzo alla testa.

Per un attimo ha capito che cos’era quel bianco, poi non ha voluto più capirlo, ha cercato di cancellare quella parola.

Poi ha visto le gambe.

Le gambe sono strane, hanno una posizione innaturale, sono … voltate, non dovrebbero stare in quel modo.

■ La preside della scuola del figlio dell’uomo che sta morendo interrompe la comunicazione, pigia il tasto del telefono e pensa che richiamerà più tardi.

■ Il direttore del cantiere corre verso il piazzale tra le gru e i palazzi.

Pensa che bisogna trovare il responsabile, che lui ha fatto tutto il possibile per evitare …

Corre e pensa che bisognerà organizzare una colletta per … Clavari, Clodovei, Clivo…

No, non è così, una cosa del genere, ma non è uno di quei nomi.

Ma non c’è niente da fare: non si ricorda il nome dell’uomo che sta morendo.

Deve chiedere, guardare sul registro.

Gruisti, secondo livello. Gruisti secondo livello. Gruista secondo livello.

■ Il collega dell’uomo che sta morendo pensa che c’è troppo vento, troppo vento e che quando c’è troppo vento lavori di questo genere non si dovrebbero fare…

Poi vede di nuovo quel bianco e non riesce più a bloccare la parola che arriva di corsa e si fa largo a spallate.

Non ce la fa a reggere, dentro qualcuno gli grida che quel bianco è il cervello.

E le gambe, le gambe del collega con il quale ha preso il caffè sono voltate in quella maniera oscena.

■ L’uomo che sta morendo non sa che sta morendo, però una specie di presagio è penetrato nel reticolo dei suoi neuroni che si stanno spegnendo.

Come da bambino, prova il disperato desiderio di tornare indietro, di chiudere gli occhi e tornare a prima, solo cinque minuti, solo due minuti, trenta secondi, magari meno, perché, quanto c’è voluto, poco, niente e basterebbe che dio, gli uomini, il mondo, facessero finta che quei pochi attimi non ci sono stati, basterebbe chiudere gli occhi e dire non è successo, e tutto tornerebbe come prima.

Che cosa costa al mondo ignorare quello che è successo?

Niente.

All’acqua non costa niente richiudersi dietro uno scafo che la taglia.

L’acqua si cicatrizza in pochi secondi, senza medicine, senza miracoli.

Il tessuto del tempo, dello spazio, la catena causale dovrebbero essere fatti d’acqua.

L’acqua si richiude e non ricorda, è indifferente, e in fondo l’universo è come l’acqua, non si scompone, si richiude sulle più grandi esplosioni, cura immediatamente le ferite.

■ Quello nuovo, il ragazzo che ha legato il vascone che ha colpito l’uomo che sta morendo è terrorizzato.

Non vuole che sia colpa sua, si racconta che magari è stato un altro, il gruista della gru 2. O la corda vecchia.

La stanchezza, perché lui fa due lavori per mandare i soldi a casa e sbadiglia tutto il giorno e si sente sfinito già quando si alza.

■ L’uomo che sta morendo pensa: vorrei non essere qui, vorrei essere piccolo, vorrei che mia madre fosse di nuovo giovane e mi curasse perché ho l’influenza.

Vorrei stare al caldo, sotto le coperte, con l’aspirina nelle vene che mi fa sudare.

■ L’uomo che sta morendo si è convinto.

Non è vero, non è successo niente, è tutto a posto, sta solo facendo tardi, la moglie gli aveva detto di comperare i carciofini sott’olio nel supermercato, tornando a casa e lui deve sbrigarsi.

Poi, capisce che non può.

I carciofini sott’olio aspetteranno sulla scansia della terza fila a destra, accanto agli acetelli, sopra lo scaffale delle scatolette di tonno.

Le cose resteranno estranee, distanti, pigre, fredde.

All’improvviso arriva la paura.

Si avvolge sulle sue spalle come un asciugamano umido in una giornata gelida.

Gli sembra di annaspare, di cadere giù senza trovare un appiglio a cui attaccarsi.

Per fortuna è solo un attimo, poi scompare anche la paura …. e non c’è più niente.

■ Il collega dell’uomo che è morto sta sudando.

Urla agli infermieri dell’ambulanza di venire di corsa, chiede se il collega respira ancora.

Ma qualcuno gli grida dentro che non è possibile che respiri ancora perché quel bianco che ha visto non doveva essere visibile.

Allora cerca di confondere quel pensiero con altri pensieri, cerca di fare disordine, di imbrogliare le carte.

Pensa: se non avessimo parlato del campionato alla macchinetta del caffè, se non fossi venuto al lavoro, se avessi seguito quella donna così bella, con quei fianchi larghi e i capelli rossi.

Com’era bella, dovevo seguirla, cercare di conoscerla, fermarmi a prendere un caffè con lei sulla piazza.

Oppure potevo passare da mia madre, che mi chiama sempre con quella voce piena di ansia e di ricatto, di rimprovero e solitudine.

Adesso non grida più perché non riesce a fermare il mento che gli trema.

Si è salvato per un pelo, la morte gli è passata accanto, ha sentito il suo alito dietro le reni.

Vorrebbe dire a tutti che non è colpa sua, che non l’ha fatto apposta, che basterebbe solo cancellare dal calendario e dalla storia due stronzissimi secondi, forse meno.

■ Quello nuovo, il ragazzo che ha legato il vascone che ha ucciso l’uomo nel cantiere è scappato dal cantiere.

Smette di correre, si piega e si tocca la milza.

Non sa neanche dove si è fermato. Sente un odore di caldarroste, vede delle vetrine.

Un motorino belante e rabbioso lo sfiora e all’improvviso si rende conto di avere il casco in testa.

Vorrebbe toglierselo subito, ma il cinturino gli tira sotto il mento.

Ma lui vuole togliersi il casco. Se lo vedono lo riconosceranno, lo cacceranno dall’Italia.

Il sottogola si strappa e gli resta un segno rosso sul collo.

■ La moglie dell’uomo che è morto riceve una telefonata e ferma il motorino.

Infila il cellulare sotto il casco, in corrispondenza dell’orecchio destro. Non riesce a dire niente, il motorino le scivola tra le gambe e si appoggia sull’asfalto.

La donna non riesce neanche a pensare niente, solo che da questo momento è vedova, solo che da questo momento è sola.

■ Il figlio dell’uomo che è morto non ha più un padre.

Ha toccato il corpo freddo del padre esposto nel seminterrato dell’ospedale.

Quel freddo gli ha bruciato le dita e da quel momento non giocherà più ad Assassin’s Creed sulla play station.
 
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