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Nuovi farmaci anti epatite C, potrebbero causare epatocarcinoma?
Venerdi 21 Aprile 2017 Elisa Spelta I farmaci antivirali ad azione diretta contro il virus dell'epatite C aumentano il rischio di epatocarcinoma? Otto studi presentati all'International Liver Congress in corso ad Amsterdam hanno cercato di dare una risposta a questa domanda, ma con risultati contrastanti. Il dibattito sull'argomento rimane quindi ancora aperto. I farmaci antivirali ad azione diretta contro il virus dell’epatite C aumentano il rischio di epatocarcinoma? Otto studi presentati all’International Liver Congress in corso ad Amsterdam hanno cercato di dare una risposta a questa domanda, ma con risultati contrastanti. Il dibattito sull’argomento rimane quindi ancora aperto. Nonostante gli enormi progressi fatti nello sviluppo di farmaci anti HCV, alcuni studi recenti hanno dimostrato che curare la malattia non significa azzerare il rischio di sviluppare un tumore al fegato. Inoltre, ulteriori ricerche hanno mostrato un aumento del rischio di ricorrenza dell’epatocarcinoma in pazienti precedentemente trattati con successo per il tumore e che successivamente avevano ricevuto una terapia anti HCV con farmaci ad azione diretta. Lo studio spagnolo Queste dati sono supportati da un nuovo studio spagnolo condotto da Maria Reig e Zoe Marino della Clinica Ospedaliera di Barcellona, presentato ad Amsterdam e pubblicato su Seminars in Liver Disease. La ricerca, condotta in pazienti con infezione da HCV ed epatocarcinoma, il cui tumore era stato precedentemente trattato con successo e che in seguito avevano ricevuto una terapia con farmaci anti HCV ad azione diretta, ha dimostrato che dopo una media di 12,4 mesi di follow up, dopo il trattamento con i farmaci antivirali, il tasso di ricorrenza dell’epatocarcinoma era pari al 31,2% (24/77) e dei pazienti che avevano successivamente ricevuto un trattamento alla ricorrenza del tumore, il 30% (6/20) ha presentato una progressione della malattia nei successivi 6 mesi di follow up. “Il nostro studio supporta i risultati di precedenti ricerche e dimostra un inaspettato aumento del tasso di ricorrenza dell’epatocarcinoma associato all’utilizzo dei farmaci antivirali ad azione diretta. Questa associazione potrebbe risultare in un pattern di ricorrenza più aggressivo e in una progressione tumorale più rapida”, spiegano gli autori dello studio spagnolo. “Questi dati indicano la necessità di future ricerche in questo ambito, per chiarire il meccanismo alla base di questa associazione”. “Identificare i pazienti a rischio di tumore al fegato è essenziale”, spiega Etienne Audureau dell’Henri Mondor University Hospital di Creteil, in Francia, che insieme ai suoi colleghi sta cercando di sviluppare uno strumento per la diagnosi di epatocarcinoma. Essi hanno scoperto che i pazienti con cirrosi compensata dovuta all’infezione da HCV falliscono nel raggiungere l’SRV (risposta virologica sostenuta) e questo è il fattore predittivo più importante per il tumore al fegato. Inoltre, attraverso le loro ricerche il team di esperti ha osservato che i fattori di rischio per l’epatocarcinoma differiscono in base allo status di SVR. Gli esperti raccomandano quindi, nei pazienti con cirrosi compensata, di eradicare l’HCV prima che la funzione epatica venga compromessa e di monitorare per il tumore epatico i pazienti che raggiungono l’SVR dopo i 50 anni di età. Il meccanismo alla base dello sviluppo dell’epatocarcinoma dopo la cura dell’epatite C non è ancora stato compreso. Un gruppo di esperti guidati da Thomas Baumert dell’Inserm Institute for Viral and Liver Diseases dell’Università di Strasburgo, ha voluto indagare se l’infezione da HCV fosse in grado di produrre dei cambiamenti epigenetici e trascrizionali che persistano anche dopo l’eradicazione del virus e se questi cambiamenti possano guidare lo sviluppo dell’epatocarcinoma. Gli esperti hanno scoperto che questi cambiamenti vengono invertiti solo parzialmente dai farmi antivirali ad azione diretta per l’HCV e persistono anche dopo aver curato l’infezione. Gli esperti hanno concluso che questi risultati aprono nuove prospettive per lo sviluppo di biomarcatori per identificare i pazienti ad alto rischio di epatocarcinoma e forniscono l’opportunità per sviluppare strategie di prevenzione del tumore. Gli studi che smentiscono l'associazione con l'epatocarcinoma Dalla parte opposta del dibattito, una revisione sistematica della letteratura, meta-analisi e una meta regressione, condotti da Gregory Dore e Reem Waziry del Kirby Institute, UNSW di Sydney, non hanno mostrato evidenze di un’associazione tra l’uso di farmaci anti HCV ad azione diretta e rischio aumentato di epatocarcinoma o di ricorrenza della malattia, rispetto alle terapie a base di interferone. Gli esperti hanno analizzato in totale 41 studi, di cui 26 sull’incidenza di epatocarcinoma e 15 sulla ricorrenza del tumore, analizzando complessivamente i dati di 13.875 pazienti. In generale, negli studi che avevano valutato l’incidenza del tumore, la durata del follow up era più breve e l’età media dei partecipanti era superiore nei pazienti trattati con i farmaci ad azione diretta rispetto ai regimi a base di interferone. L’incidenza dell’epatocarcinoma era inferiore negli studi con un follow up di maggior durata e nei pazienti più giovani. La durata media del follow up era inferiore anche negli studi che avevano valutato la ricorrenza del tumore nei pazienti trattati con i farmaci ad azione diretta. Infine, dalle analisi di meta regressione non sono emerse evidenze in favore di un’associazione tra l’uso di farmaci ad azione diretta e l’aumento del rischio di epatocarcinoma o di ricorrenza della malattia, rispetto ai regimi a base di interferone. “Studi recenti hanno riportato evidenze contraddittorie circa il rischio di epatocarcinoma dopo l’utilizzo di farmaci anti HCV ad azione diretta. Il nostro obiettivo è fare chiarezza su questi aspetti”, spiega Gregory Dore. “I nostri dati mostrano che l’incidenza superiore del tumore osservata dopo l’utilizzo di questi faramci possa essere spiegata da una minor durata del follow up e dall’età più avanzata dei partecipani, piuttosto che dall’utilizzo degli stessi farmaci”. Uno studio scozzese, condotto dal team di Hamish Innes della School of Health and Life Science della Glasgow Caledonian University, ha mostrato che il rischio di tumore al fegato dopo il raggiungimento dell’SV non è associato al trattamento con farmaci anti HCV ad azione diretta, ma piuttosto a fattori di rischio basali. Inoltre, gli esperti hanno mostrato che, dopo aggiustamento per diverse variabili, il rischio di sviluppare un epatocarcinoma è simile tra i pazienti trattati con regimi a basa di interferendo e regimi senza interferone (IRR: 0,96, p=0,929), senza differenze tra regimi contenenti farmaci ad azione diretta o senza questi antivirali. Questi dati indicano che non è il regime terapeutico utilizzato ad essere associato al rischio di tumore al fegato, bensì alcuni fattori di rischio al basale. Un altro studio interessante condotto in pazienti giapponesi con infezione da HCV di genotipo 1 ha mostrato una ridotta incidenza di tumore al fegato dopo il raggiungimento dell’SVR a seguito di 12 settimane di terapia con un regimen antivirale senza interferone (ledipasvir più sofosbuvir) allo stesso livello di quanto osservato con i regimi contenetei interferone (simeprevir con interferone pegilato e ribavirina). Questo studio, condotto da Masaaki Korenga e colleghi del Kohnodai Hospital, National Center for Global Health and Medicine di Chiba, in Giappone, ha mostrato, inoltre, che lo sviluppo inaspettato di epatocarcinoma dopo il raggiungimento dell’SVR in pazienti che non avevano presentato questo tipo di tumore in precedenza, potrebbe essere predetto attraverso procedure di imaging, come la tomografia computerizzata o la risonanza magnetica. In modo simile, uno studio cinese, condotto da George Lau del Beijing 302-Hong Kong Humanity and Health Hepatitis C Diagnosis and Treatment Centre di Beijing, in Cina, non ha mostrato alcun aumento dell’incidenza di epatocarcinoma nei pazienti che avevano raggiunto l’SVR a 12 settimane e che erano stati trattati con farmaci ad azione diretta, rispetto a interferone più ribavirina. Uno studio siciliano, condotto da Vincenza Calvaruso e colleghi dell’Università di Palermo, ha dimostrato che i pazienti che raggiungono l’SVR con i farmaci anti HCV ad azione diretta presentano un rischio di epatocarcinoma simile ai pazienti con cirrosi compensata che raggiungono l’SVR dopo terapia con regimi a base di interferone. Inoltre, i soggetti che avevano raggiunto l’SVR con i farmaci ad azione diretta avevano un rischio ridotto di sviluppare un tumore al fegato rispetto ai pazienti la cui infezione da HCV non era stata curata. “Abbiamo seguito per oltre 10 anni una grande coorte di pazienti con cirrosi da HCV trattati in precedenza con interferone e ribavirina”, spiega Calvaruso. “Abbiamo osservato, nei pazienti che guarivano dall’infezione, un’incidenza di eventi clinici, tra cui anche l’epatocarcinoma, che non superava l’1% anno. Questo dato era in linea con la letteratura di quel periodo. Successivamente, abbiamo valutato l’incidenza del tumore nella popolazione di pazienti inseriti nella rete per l’HCV siciliana con un follow up medio di 14 mesi, ma alcuni pazienti sono stati seguiti fino a due anni. Stratificando i pazienti per alcune variabili, tra cui anche quelli guariti grazie alla terapia con i nuovi farmaci ad azione diretta, abbiamo osservato che l’incidenza di epatocarcinoma era uguale a quella osservata in precedenza. Nel nostro studio non è stata osservata una correlazione tra l’età e l’aumento del rischio di epatocarcinoma, probabilmente perché i pazienti sono quasi tutti di età avanzata. L’età media dei nostri pazienti era 65 anni e molti avevano fallito terapie precedenti con interferone. Nel nostro studio, le variabili che si correlavano maggiormente con lo sviluppo del tumore erano lo stadio della malattia e l’assenza dell’SVR. Il circa 5% dei pazienti che non avevano raggiunto l’SVR dopo trattamento con i farmaci ad azione diretta avevano un rischio aumentato di sviluppare la malattia. L’aumento dell’incidenza del tumore osservata in alcuni studi è dovuta al fatto che oggi stiamo trattando con i nuovi farmaci pazienti più gravi e quindi a maggior rischio di sviluppare la malattia, ma per le loro caratteristiche cliniche, non a causa del trattamento. Oggi stiamo cercando di valutare in quali tipologie di pazienti risulti più opportuno effettuare una sorveglianza più accurata, rispetto a quella classica prevista dalle linee guida”. “Lo studio spagnolo mostra che alcuni pazienti con tumore primitivo del fegato, che dopo guarigione mediante resezione chirurgica o termoablazione, hanno avuto un tasso di ricorrenza nei successivi sei mesi, che secondo gli esperti locali era superiore all’atteso, spiega Massimo Colombo, Ordinario di Gastroenterologia, Università di Milano, Direttore Divisione di Gastroenterologia Ospedale Maggiore IRCCS, Milano. “La comunità scientifica internazionale ha replicato presentando almeno dieci studi, tre di questi multicentrici, nei quali l’eccesso di ricorrenza del tumore osservato nello studio spagnolo non è stato affatto documentato. L’interpretazione corrente è che questi studi, essendo disegnati originariamente per valutare l’efficacia dei regimi privi di interferone, sono stati condotti su popolazioni ben diverse da quelle che noi eravamo abituati a trattare con l’interferone, infatti sono pazienti più anziani e con maggiori comorbidità, che potrebbero spiegare l’eccesso di ricorrenza osservato nello studio spagnolo. Inoltre, questi studi sono stati utilizzati in seguito per valutare la chemio prevenzione dell’epatocarcinoma. Questo è stato fatto in modo retrospettivo, incorporando probabili difetti di campionatura. Siamo ansiosi di conoscere i dati di validazione prospettica in corso in varie parti del mondo. Intanto, nella stragrande maggioranza dei Paesi europei, i pazienti con cirrosi continuano ad essere trattati con farmaci senza interferone e lo stesso vale per i pazienti guariti da epatocarcinoma”. www.pharmastar.it |