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view post Posted: 22/8/2017, 17:58 Nuovi farmaci anti epatite C, potrebbero causare epatocarcinoma? - CANCRO: informazione libera
Nuovi farmaci anti epatite C, potrebbero causare epatocarcinoma?
Venerdi 21 Aprile 2017 Elisa Spelta

EPATO

I farmaci antivirali ad azione diretta contro il virus dell'epatite C aumentano il rischio di epatocarcinoma? Otto studi presentati all'International Liver Congress in corso ad Amsterdam hanno cercato di dare una risposta a questa domanda, ma con risultati contrastanti. Il dibattito sull'argomento rimane quindi ancora aperto.

I farmaci antivirali ad azione diretta contro il virus dell’epatite C aumentano il rischio di epatocarcinoma? Otto studi presentati all’International Liver Congress in corso ad Amsterdam hanno cercato di dare una risposta a questa domanda, ma con risultati contrastanti. Il dibattito sull’argomento rimane quindi ancora aperto.

Nonostante gli enormi progressi fatti nello sviluppo di farmaci anti HCV, alcuni studi recenti hanno dimostrato che curare la malattia non significa azzerare il rischio di sviluppare un tumore al fegato. Inoltre, ulteriori ricerche hanno mostrato un aumento del rischio di ricorrenza dell’epatocarcinoma in pazienti precedentemente trattati con successo per il tumore e che successivamente avevano ricevuto una terapia anti HCV con farmaci ad azione diretta.

Lo studio spagnolo
Queste dati sono supportati da un nuovo studio spagnolo condotto da Maria Reig e Zoe Marino della Clinica Ospedaliera di Barcellona, presentato ad Amsterdam e pubblicato su Seminars in Liver Disease.

La ricerca, condotta in pazienti con infezione da HCV ed epatocarcinoma, il cui tumore era stato precedentemente trattato con successo e che in seguito avevano ricevuto una terapia con farmaci anti HCV ad azione diretta, ha dimostrato che dopo una media di 12,4 mesi di follow up, dopo il trattamento con i farmaci antivirali, il tasso di ricorrenza dell’epatocarcinoma era pari al 31,2% (24/77) e dei pazienti che avevano successivamente ricevuto un trattamento alla ricorrenza del tumore, il 30% (6/20) ha presentato una progressione della malattia nei successivi 6 mesi di follow up.

“Il nostro studio supporta i risultati di precedenti ricerche e dimostra un inaspettato aumento del tasso di ricorrenza dell’epatocarcinoma associato all’utilizzo dei farmaci antivirali ad azione diretta. Questa associazione potrebbe risultare in un pattern di ricorrenza più aggressivo e in una progressione tumorale più rapida”, spiegano gli autori dello studio spagnolo. “Questi dati indicano la necessità di future ricerche in questo ambito, per chiarire il meccanismo alla base di questa associazione”.

“Identificare i pazienti a rischio di tumore al fegato è essenziale”, spiega Etienne Audureau dell’Henri Mondor University Hospital di Creteil, in Francia, che insieme ai suoi colleghi sta cercando di sviluppare uno strumento per la diagnosi di epatocarcinoma. Essi hanno scoperto che i pazienti con cirrosi compensata dovuta all’infezione da HCV falliscono nel raggiungere l’SRV (risposta virologica sostenuta) e questo è il fattore predittivo più importante per il tumore al fegato. Inoltre, attraverso le loro ricerche il team di esperti ha osservato che i fattori di rischio per l’epatocarcinoma differiscono in base allo status di SVR. Gli esperti raccomandano quindi, nei pazienti con cirrosi compensata, di eradicare l’HCV prima che la funzione epatica venga compromessa e di monitorare per il tumore epatico i pazienti che raggiungono l’SVR dopo i 50 anni di età.

Il meccanismo alla base dello sviluppo dell’epatocarcinoma dopo la cura dell’epatite C non è ancora stato compreso. Un gruppo di esperti guidati da Thomas Baumert dell’Inserm Institute for Viral and Liver Diseases dell’Università di Strasburgo, ha voluto indagare se l’infezione da HCV fosse in grado di produrre dei cambiamenti epigenetici e trascrizionali che persistano anche dopo l’eradicazione del virus e se questi cambiamenti possano guidare lo sviluppo dell’epatocarcinoma. Gli esperti hanno scoperto che questi cambiamenti vengono invertiti solo parzialmente dai farmi antivirali ad azione diretta per l’HCV e persistono anche dopo aver curato l’infezione. Gli esperti hanno concluso che questi risultati aprono nuove prospettive per lo sviluppo di biomarcatori per identificare i pazienti ad alto rischio di epatocarcinoma e forniscono l’opportunità per sviluppare strategie di prevenzione del tumore.

Gli studi che smentiscono l'associazione con l'epatocarcinoma
Dalla parte opposta del dibattito, una revisione sistematica della letteratura, meta-analisi e una meta regressione, condotti da Gregory Dore e Reem Waziry del Kirby Institute, UNSW di Sydney, non hanno mostrato evidenze di un’associazione tra l’uso di farmaci anti HCV ad azione diretta e rischio aumentato di epatocarcinoma o di ricorrenza della malattia, rispetto alle terapie a base di interferone. Gli esperti hanno analizzato in totale 41 studi, di cui 26 sull’incidenza di epatocarcinoma e 15 sulla ricorrenza del tumore, analizzando complessivamente i dati di 13.875 pazienti.

In generale, negli studi che avevano valutato l’incidenza del tumore, la durata del follow up era più breve e l’età media dei partecipanti era superiore nei pazienti trattati con i farmaci ad azione diretta rispetto ai regimi a base di interferone. L’incidenza dell’epatocarcinoma era inferiore negli studi con un follow up di maggior durata e nei pazienti più giovani.

La durata media del follow up era inferiore anche negli studi che avevano valutato la ricorrenza del tumore nei pazienti trattati con i farmaci ad azione diretta. Infine, dalle analisi di meta regressione non sono emerse evidenze in favore di un’associazione tra l’uso di farmaci ad azione diretta e l’aumento del rischio di epatocarcinoma o di ricorrenza della malattia, rispetto ai regimi a base di interferone.

“Studi recenti hanno riportato evidenze contraddittorie circa il rischio di epatocarcinoma dopo l’utilizzo di farmaci anti HCV ad azione diretta. Il nostro obiettivo è fare chiarezza su questi aspetti”, spiega Gregory Dore. “I nostri dati mostrano che l’incidenza superiore del tumore osservata dopo l’utilizzo di questi faramci possa essere spiegata da una minor durata del follow up e dall’età più avanzata dei partecipani, piuttosto che dall’utilizzo degli stessi farmaci”.

Uno studio scozzese, condotto dal team di Hamish Innes della School of Health and Life Science della Glasgow Caledonian University, ha mostrato che il rischio di tumore al fegato dopo il raggiungimento dell’SV non è associato al trattamento con farmaci anti HCV ad azione diretta, ma piuttosto a fattori di rischio basali. Inoltre, gli esperti hanno mostrato che, dopo aggiustamento per diverse variabili, il rischio di sviluppare un epatocarcinoma è simile tra i pazienti trattati con regimi a basa di interferendo e regimi senza interferone (IRR: 0,96, p=0,929), senza differenze tra regimi contenenti farmaci ad azione diretta o senza questi antivirali. Questi dati indicano che non è il regime terapeutico utilizzato ad essere associato al rischio di tumore al fegato, bensì alcuni fattori di rischio al basale.

Un altro studio interessante condotto in pazienti giapponesi con infezione da HCV di genotipo 1 ha mostrato una ridotta incidenza di tumore al fegato dopo il raggiungimento dell’SVR a seguito di 12 settimane di terapia con un regimen antivirale senza interferone (ledipasvir più sofosbuvir) allo stesso livello di quanto osservato con i regimi contenetei interferone (simeprevir con interferone pegilato e ribavirina). Questo studio, condotto da Masaaki Korenga e colleghi del Kohnodai Hospital, National Center for Global Health and Medicine di Chiba, in Giappone, ha mostrato, inoltre, che lo sviluppo inaspettato di epatocarcinoma dopo il raggiungimento dell’SVR in pazienti che non avevano presentato questo tipo di tumore in precedenza, potrebbe essere predetto attraverso procedure di imaging, come la tomografia computerizzata o la risonanza magnetica.

In modo simile, uno studio cinese, condotto da George Lau del Beijing 302-Hong Kong Humanity and Health Hepatitis C Diagnosis and Treatment Centre di Beijing, in Cina, non ha mostrato alcun aumento dell’incidenza di epatocarcinoma nei pazienti che avevano raggiunto l’SVR a 12 settimane e che erano stati trattati con farmaci ad azione diretta, rispetto a interferone più ribavirina.

Uno studio siciliano, condotto da Vincenza Calvaruso e colleghi dell’Università di Palermo, ha dimostrato che i pazienti che raggiungono l’SVR con i farmaci anti HCV ad azione diretta presentano un rischio di epatocarcinoma simile ai pazienti con cirrosi compensata che raggiungono l’SVR dopo terapia con regimi a base di interferone. Inoltre, i soggetti che avevano raggiunto l’SVR con i farmaci ad azione diretta avevano un rischio ridotto di sviluppare un tumore al fegato rispetto ai pazienti la cui infezione da HCV non era stata curata.

“Abbiamo seguito per oltre 10 anni una grande coorte di pazienti con cirrosi da HCV trattati in precedenza con interferone e ribavirina”, spiega Calvaruso. “Abbiamo osservato, nei pazienti che guarivano dall’infezione, un’incidenza di eventi clinici, tra cui anche l’epatocarcinoma, che non superava l’1% anno. Questo dato era in linea con la letteratura di quel periodo. Successivamente, abbiamo valutato l’incidenza del tumore nella popolazione di pazienti inseriti nella rete per l’HCV siciliana con un follow up medio di 14 mesi, ma alcuni pazienti sono stati seguiti fino a due anni. Stratificando i pazienti per alcune variabili, tra cui anche quelli guariti grazie alla terapia con i nuovi farmaci ad azione diretta, abbiamo osservato che l’incidenza di epatocarcinoma era uguale a quella osservata in precedenza. Nel nostro studio non è stata osservata una correlazione tra l’età e l’aumento del rischio di epatocarcinoma, probabilmente perché i pazienti sono quasi tutti di età avanzata. L’età media dei nostri pazienti era 65 anni e molti avevano fallito terapie precedenti con interferone. Nel nostro studio, le variabili che si correlavano maggiormente con lo sviluppo del tumore erano lo stadio della malattia e l’assenza dell’SVR. Il circa 5% dei pazienti che non avevano raggiunto l’SVR dopo trattamento con i farmaci ad azione diretta avevano un rischio aumentato di sviluppare la malattia. L’aumento dell’incidenza del tumore osservata in alcuni studi è dovuta al fatto che oggi stiamo trattando con i nuovi farmaci pazienti più gravi e quindi a maggior rischio di sviluppare la malattia, ma per le loro caratteristiche cliniche, non a causa del trattamento. Oggi stiamo cercando di valutare in quali tipologie di pazienti risulti più opportuno effettuare una sorveglianza più accurata, rispetto a quella classica prevista dalle linee guida”.

“Lo studio spagnolo mostra che alcuni pazienti con tumore primitivo del fegato, che dopo guarigione mediante resezione chirurgica o termoablazione, hanno avuto un tasso di ricorrenza nei successivi sei mesi, che secondo gli esperti locali era superiore all’atteso, spiega Massimo Colombo, Ordinario di Gastroenterologia, Università di Milano, Direttore Divisione di Gastroenterologia Ospedale Maggiore IRCCS, Milano. “La comunità scientifica internazionale ha replicato presentando almeno dieci studi, tre di questi multicentrici, nei quali l’eccesso di ricorrenza del tumore osservato nello studio spagnolo non è stato affatto documentato. L’interpretazione corrente è che questi studi, essendo disegnati originariamente per valutare l’efficacia dei regimi privi di interferone, sono stati condotti su popolazioni ben diverse da quelle che noi eravamo abituati a trattare con l’interferone, infatti sono pazienti più anziani e con maggiori comorbidità, che potrebbero spiegare l’eccesso di ricorrenza osservato nello studio spagnolo. Inoltre, questi studi sono stati utilizzati in seguito per valutare la chemio prevenzione dell’epatocarcinoma. Questo è stato fatto in modo retrospettivo, incorporando probabili difetti di campionatura. Siamo ansiosi di conoscere i dati di validazione prospettica in corso in varie parti del mondo. Intanto, nella stragrande maggioranza dei Paesi europei, i pazienti con cirrosi continuano ad essere trattati con farmaci senza interferone e lo stesso vale per i pazienti guariti da epatocarcinoma”.
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view post Posted: 22/8/2017, 13:16 Paranormale oppure?- L’ho già visto oppure no? Ecco come decide il cervello - Paranormale intorno a noi...
L’ho già visto oppure no? Ecco come decide il cervello
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L’interruttore del riconoscimento di oggetti che ci sono familiari è situato in una regione chiamata corteccia peririnale, essenziale per i nostri ricordi. Il risultato su modello animale. Ecco come funziona


Questo oggetto l’ho già visto da qualche parte? È una domanda cui il nostro cervello è chiamato a rispondere continuamente, valutando e riconoscendo in ogni istante oggetti e situazioni della vita quotidiana che ci sono già noti. Oggi, un gruppo di scienziati della University of Tokio School of Medicine ha affrontato la questione dal punto di vista neuroscientifico, studiando in che modo il cervello di un gruppo di scimmie si attivava di fronte a suppellettili familiari e sconosciute. I risultati confermano che a decidere se un oggetto è già stato incontrato o meno è una specifica regione cerebrale, chiamata corteccia peririnale, e svelano il meccanismo con cui avviene questo riconoscimento. Lo studio è stato pubblicato su Science.


Per districare la matassa di questo complicato meccanismo neuronale, gli scienziati hanno effettuato test specifici, stimolando quest’area cerebrale essenziale per il mantenimento dei ricordi. I ricercatori si sono chiesti in che modo le cellule nervose – i neuroni – di quest’area trasmettano le informazioni: a far agire i neuroni sono le caratteristiche fisiche, ovvero forma, colore, dimensioni dell’oggetto, oppure attributi non fisici ma acquisiti (come il possibile utilizzo o le passate esperienze), che nel contesto delle abitudini dell’animale gli consentono di classificarlo come già noto?

Per dare una risposta, gli autori dello studio hanno dapprima mostrato alle scimmie circa 20-30 piccole suppellettili, che in questo modo venivano registrate dalla loro mente. In seguito, hanno mostrato agli animali queste stesse cose insieme a nuovi oggetti, mai visti prima. Poi, gli autori hanno studiato l’attivazione dei neuroni mediante stimolazione elettrica e stimolazione optogenetica, un particolare metodo di manipolazione dei neuroni, basato sulla luce.

I ricercatori hanno confermato che proprio la corteccia peririnale è l’interruttore del riconoscimento visivo dell’oggetto. Ma il team si è spinto oltre, provando a comprendere parte del complesso ingranaggio con cui avviene questo riconoscimento. In primo luogo, bisogna specificare che nella corteccia peririnale i neuroni non sono distribuiti in maniera uniforme, ma sono raggruppati principalmente nella parte anteriore. Andando a stimolare questa parte, le scimmie percepivano tutti gli oggetti, sia quelli familiari che quelli nuovi, come già noti. Al contrario, stimolando un’altra parte, quella posteriore, si ottenevano risultati diversi, ovvero alcuni oggetti già visti dalle scimmie venivano invece percepiti come sconosciuti.

Quale potrebbe essere la spiegazione? Secondo i ricercatori, alla base di queste differenti risposte, corrispondenti alla stimolazione di parti cerebrali diverse, potrebbe esservi uno specifico meccanismo di riconoscimento degli oggetti: tale riconoscimento si baserebbe non sulla valutazione delle caratteristiche fisiche, ma sulla capacità della memoria di decodificare elementi non fisici, cosiddetti appresi, associati all’oggetto materiale, il tutto mediante l’azione dei neuroni presenti nella corteccia peririnale. Insomma, questo complesso meccanismo potrebbe spiegare la nostra naturale abilità di distinguere continuamente cose che abbiamo già visto e che conosciamo da quelle che incontriamo per la prima volta.

Riferimenti: Science
view post Posted: 22/8/2017, 13:02 Altro che cuore, le emozioni vengono dalla pancia - Psiche e benessere
Altro che cuore, le emozioni vengono dalla pancia

Tra i tanti super poteri del micro bioma ci sarebbe anche la regolazione delle nostre emozioni. Questo insieme di microorganismi, presenti nel tubo digerente, è ormai diventato il protagonista indiscusso di moltissime ricerche che sempre di più ne confermano il ruolo fondamentale per la vita umana, tanto che gli stessi scienziati lo hanno definito un “super-organismo”.
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Secondo il nuovo studio dell’Università della California, pubblicato su Psychosomatic Medicine: Journal of Behavioral Medicine, i nostri coinquilini intestinali, altrimenti noti come batteri, avrebbero un’influenza persino sul nostro comportamento e sulle nostre emozioni. In particolare i microbi sarebbero responsabili di sentimenti come ansia e depressione.
Secondo un nuovo studio dell’Università della California, ci sarebbero delle interazioni tra i batteri intestinali e le regioni del cervello associate al comportamento e allo stato d’animo


Per l’esperimento sono stati presi in esame dei campioni fecali di 40 donne, le quali sono state sottoposte a risonanza magnetica per analizzarne il cervello durante la visione di determinate immagini. Durante la risonanza venivano mostrate situazioni, individui o cose in grado di evocare delle risposte emotive. A seconda della composizione dei batteri intestinali, le donne sono state suddivise in due gruppi: 33 risultavano avere un batterio chiamato Bacteroides, mentre le rimanenti 7 avevano il batterio Prevotella. Il primo gruppo risultava avere un maggiore spessore della materia grigia nella corteccia frontale e nell’insula, ovvero nelle regioni del cervello coinvolte in attività di elaborazione complessa di informazioni. Anche l’ippocampo, sede della memoria, risultava avere un volume maggiore.

Dall’altro lato, il gruppo con il batterio Prevotella ha mostrato più connessioni tra le regioni cerebrali responsabili dell’ emotività, attenzione e percezione sensoriale e un volume più sottile di materia cerebrale. Mentre l’ippocampo (più sottile anche questo) risultava essere meno attivo quando le donne erano sottoposte alla visione di immagini negative. Queste donne, rispetto al gruppo di Bacteroides, hanno mostrato di avere livelli più alti di ansia, stress e irritabilità dopo aver visto fotografie contenenti immagini negative.

Il risultato di questa ricerca mette in luce la stretta connessione e interazione tra il microbiota intestinale e il nostro cervello. Sono necessari studi ulteriori per stabilire se anche il cervello a sua volta può determinare o avere influenze sulla tipologia di batteri che risiedono nel nostro intestino. In entrambi i casi, questi scenari cambiano completamente il nostro modo di pensare alle emozioni.

Riferimenti: Psychosomatic Medicine
view post Posted: 21/8/2017, 17:31 Uccio De Santis -Video - una cura straordinaria - Umorismo - test - giochi per tutti


La risata ha un grande potere benefico, è un rimedio per stare bene.
Ridere fa bene alla vita, essere di buon umore è uno dei modi per mantenere in buono stato il sistema Immunitario, d'altra parte sorridendo i muscoli facciali si rilassano smuovendo anche i liquidi, le emozioni.( conoscete la frase " me la sono fatta addosso dalle risate!")
Secondo uno studio fatto, è stato scoperto che ridere almeno 10 minuti al giorno evita l'infarto,mantenendo in allenamento il chakra del cuore.
Chi riesce a ridere dei suoi problemi, guarisce se stesso.
Ridere aiuta ad eliminare lo Stress e l' Ansia e costituisce un ausilio per il miglioramento della propria autostima e la qualita delle relazioni.
Ha il potere di prevenire numerose patologie grazie alla sua azione benefica sul sistema immunitario, la risata stimola la produzione di ormoni come l'Adrenalina e la Dopomina, che a loro volta liberano endorfine che sono antidolorifici naturali
in grado di mantenerci in buona Salute.
Ridere fa' buon sangue,fa' bene al Cuore e va bene a tutte le Eta'.

Una barzelletta al giorno elimina lo stress e l'ansia di torno
e aiuta a farti sdrammatizzare la vita




Numerosi studi hanno dimostrato che un grado elevato di stress riduce le naturali difese immunitarie dell’organismo a causa del diminuito livello di immunoglobulina A mentre una bella risata, o lo sperimentare stati d’animo positivi, rappresentano un vero e proprio toccasana in grado di proteggerci dalle malattie e favorire la guarigione dalle patologie già in atto. Ridere infatti aiuta la circolazione e l’ossigenazione del sangue permettendo così ai tessuti di rigenerarsi più facilmente e anche il cuore ne risente positivamente. Una bella risata favorisce inoltre l’eliminazione di acido lattico e mitiga il senso di affaticamento. Tutti quanti abbiamo poi sperimentato la piacevole sensazione di rilassamento che segue ad un momento di ilarità..basterebbe questo per metterci alla ricerca di un pretesto per ridere di gusto.


CHI NON RIDE E' A RISCHIO DI:
- DEPRESSIONE
- ANSIA
-ATTACCHI DI PANICO
-MALATTIE DEGENERATIVE DEL CERVELLO
-MALATTIE CARDIOVASCOLARI

QUINDI conviene RIDERE perche RIDERE crea un ondata di salute ,di buonumore e ti fa' vivere in modo sciolto e naturale.

E allora......... BUONE RISATE A TUTTI! :lol: :lol: :lol:

view post Posted: 21/8/2017, 17:07 La fine del mondo c'è gia stata: lo svela la stele dell'Avvoltoio - Archeologia - mistero - viaggiatori del sacro



La fine del mondo c'è già stata: lo svela la stele dell'Avvoltoio



Una cometa colpì la Terra 13.000 anni fa: la conferma arriva da un bassorilievo studiato dall’università di Edimburgo a Gobekli Tepe, in Turchia, in quello che è considerato il più antico osservatorio astronomico dell’umanità

Tredicimila anni fa i frammenti di una cometa colpirono la Terra: l'impatto modificò l’inclinazione dell’asse di rotazione del pianeta, provocando l’estinzione di molte specie come quella dei mammut e causando un’era glaciale che durò mille anni. Lo afferma un gruppo di ricercatori dell’Università di Edimburgo, che ha trovato la narrazione di questo cataclisma nel più antico libro di storia esistente: i bassorilievi portati alla luce nel 1995 nel sito archeologico di Gobekli Tepe, nel Sud della Turchia.



Le incisioni dell'antica 'stele dell'avvoltoio' secondo gli esperti potrebbero essere interpretate come simboli astronomici che ricalcano esattamente la posizione delle stelle che illuminavano la volta celeste nel 10.950 a.C. data che corrisponde a quella di un importante evento 'registrato' nei ghiacci della Groenlandia come riportato nell'articolo pubblicato sulla rivista Mediterranean Archaeology and Archaeometry.

Nella stele dell'avvoltoio i bassorilievi sembrano riprodurre la caduta dello sciame di comete e riportare gli effetti catastrofici del loro impatto che decimò l'umanità e causò l'estinzione di specie animali alla fine del Pleistocene.

Il periodo glaciale noto come Dryas recente e l’anomalia dell’iridio osservata in Nord America portano tesi a conferma dell’impatto di una serie di corpi celesti sulla terra mentre archeologi e antropologi collocano proprio in quel periodo l’inizio della civiltà umana, con le prime coltivazioni e i primi villaggi del Neolitico.

Per molti ricercatori, che il mondo accademico non tiene in alcuna considerazione, la caduta delle comete ha causato la fine di una civiltà che già esisteva sulla Terra e ha costretto gli esseri umani sopravvissuti a un nuovo e faticosissimo inizio.

WWW.ARCKEORETE.IT

Edited by **Ishtar** - 20/2/2018, 10:23
view post Posted: 21/8/2017, 08:41 -ANNA BONO -ESPERTA DI AFRICA E EMIGRANTI AFRICANI...ECCO LA VERITA' - Immigrazione - povertà - esclusione sociale
ESPERTA DI AFRICA E EMIGRANTI AFRICANI...ECCO LA VERITA



Anna Bono (Università di Torino, Storia e istituzioni dell’Africa) si è assunta da anni – in pressoché totale solitudine accademica – un compito tanto arduo quanto meritorio. È noto come, per chi sia posseduto dall’ideologia, quando c’è divaricazione tra gli schemini astratti e la realtà, sia fortissima la tentazione di “cambiare la realtà”: ecco, saggiamente, la professoressa Bono fa il contrario, e cioè rispetta la realtà e smonta le impalcature ideologiche altrui.

Lo fa su un tema incandescente, quello dell’immigrazione. E lo fa – il che è ancora più meritorio – in modo non urlato, non aggressivo, non disumano: se è consentito a un laico come me metterla così, lo fa con autentica carità cristiana, con pietas, ma senza pietismo.

In questo libro, che riassume anni di ricerca, Anna Bono smonta in particolare due fake-news, due autentiche falsificazioni, che hanno invece segnato il dibattito politico su questo tema.

Prima fake-news: “Quelli che arrivano sono profughi, scappano dalla guerra, la loro è una migrazione forzata”. Non è vero, spiega Anna Bono! Dati alla mano, esaminati anno per anno, viene fuori (qui sintetizzo, ma nel volume ci sono tutti i dettagli) che, grosso modo, su 100 migranti che arrivano in Italia, solo 4 si vedranno riconoscere lo status di profugo o rifugiato di guerra. Gli altri 96 sono sostanzialmente migranti economici.




Seconda fake-news: “Quelli che arrivano sono i più poveri fra i poveri”. Non è vero nemmeno questo! Certo, non sono persone benestanti: non occorre un genio per capirlo. Ma sono comunque persone provenienti da paesi stabili (spesso democrazie imperfette, fragili, giovani, ma pur sempre democrazie), e persone che sono state in grado di raccogliere i non pochi soldi (da 5 a 10 mila dollari) necessari a pagare le organizzazioni criminali che lucrano su questo traffico di esseri umani.

Già questa operazione di demistificazione merita ogni gratitudine: la professoressa Bono dimostra che oggi l’atto più “rivoluzionario” è studiare i fenomeni senza pregiudizi, esaminare numeri e dati, anziché “fabbricare narrazioni”.

Ma nel libro c’è di più, c’è un’altra serie di scomode verità. Sintetizzo per comodità: si possono accogliere gli individui, ma non delle comunità; il multiculturalismo ha fallito; è perniciosa l’idea di “appaltare” pezzi di territorio a una specie di “legalità alternativa” basata sulla sharia; negare che l’Islam sia un problema è una tragica illusione.

anna bono libroE soprattutto, chiarito questo (ciò che troppi cattocomunisti vogliono negare: chiamiamo le cose col loro nome), e stabilito che le effettive possibilità di accoglienza sono legate a numeri piccoli, piccolissimi, drasticamente contenuti, resta l’altro tema decisivo: quei pochi che si possono realmente accogliere vanno messi a lavorare, prima che siano assorbiti dall’esercito della criminalità.

Per far questo, a mio personale avviso, resta valido lo strumento adottato da anni in Canada: stabilire non solo quantità piccole, ma anche le qualità e le caratteristiche lavorative (quante badanti, quanti lavoratori per l’agricoltura, ecc.) di quelli che potranno essere accolti anno per anno, legando cioè i meccanismi di entrata all’effettiva assorbibilità dei nuovi ingressi da parte del mercato del lavoro nazionale.

Se si fa questo, può esserci un effetto positivo per tutti. In mancanza – come accade da noi – resta solo la prospettiva del caos, della violenza e dell’invasione.

15/07/2017


«Certo arrivano da Paesi dove la democrazia non ha raggiunto vette esemplari, e dove pure non mancano conflitti, ma salvo pochissimi casi sono Paesi che non giustificano una richiesta di asilo, e chi la inoltra infatti raramente la ottiene. Io li chiamo come si sono sempre chiamati: emigranti».

Professoressa, sta dicendo che l'immagine del profugo che scappa dalla miseria e dalle guerre non corrisponde del tutto alla realtà?

«Ripeto, se parliamo di chi arriva da paesi dell'Africa subsahariana, come il Senegal, il Ghana, ma anche la Somalia e la Nigeria e altri, lì chi fugge da guerre cerca rifugio o in zone più sicure dello stesso Paese oppure in un Paese vicino, non parte per l'Europa. Il caso della Somalia è esemplare. La diaspora somala è tra le più grandi al mondo, però centinaia di migliaia fuggono nel vicino Kenya, e da quando il governo ha sottratto ad Al Shabaab (gruppo terrorista islamico, ndr) le città più importanti, migliaia di somali cercano di rientrare in patria. Chi decide di emigrare, con tutti i rischi e le incognite che questo comporta, lo fa per altri motivi, non perchè è in pericolo di vita, o vive nel terrore di un regime spietato, e nemmeno per la miseria estrema».

Chi sono allora gli emigranti che arrivano da noi sui barconi?

«In maggioranza non appartengono ai ceti più poveri della società africana. Le caratteristiche che mi sembrano accomunarli sono: giovani, in prevalenza maschi, sicuramente scolarizzati anche con titoli di studio da scuola media superiore, in grande maggioranza partiti da centri urbani dove avrebbero potuto continuare a vivere, in situazioni che magari ai nostri occhi sembrano invivibili, ma che in Africa rappresentano già un traguardo rispetto alle centinaia di milioni di persone realmente in miseria».

Insomma sulle barche della speranza c'è la middle class africana?

«Diciamo il ceto intermedio, che però teme di scendere di uno o più gradini nella scala sociale. E lì basta poco: una malattia, la perdita di un famigliare ben inserito, un intoppo burocratico. E poi sono attirati dalla propaganda che dipinge l'Italia e altri paesi europei come l'Eldorado, posti dove risolveranno tutti i problemi, troveranno un lavoro e il benessere. Questo è un aspetto poco considerato, ma come per altre attività redditizie anche il business del traffico di emigranti non aspetta il cliente, se lo va a cercare. E la propaganda è talmente forte ed efficace che i governi, come quelli dell'Etiopia, Tanzania, Mali e Nigeria stanno provando a combatterla con campagne di dissuasione. Nelle strade si trovano grandi manifesti con scritto «Il nostro Eldorado è il Mali», mentre in Nigeria può capitare di vedere un manifesto con un uomo che, sullo sfondo un aereo in volo, dice ad una ragazza: «Ti trovo un lavoro in Italia». E sotto: «I trafficanti di uomini conoscono molti trucchi. Rifiuta!».

I trafficanti vendono speranze per 3-4mila euro a testa.

«Anche di più, quelle sono le cifre per chi parte già nei pressi del Mediterraneo, ma tanti partono da molto più lontano, e pagano di più».

Come fanno a permettersi cifre che valgono il reddito di diversi anni?

«Le modalità di pagamento sono molto diverse. C'è chi paga subito, oppure è aiutato dalla famiglia allargata, o vende qualcosa, o ancora si indebita. Il fatto che possano pagare cifre molto alte dimostra appunto come, in molti casi, non siano i poveri a partire ma chi è al di sopra della soglia di povertà».

http://www.ilgiornale.it/news/politica/mac...hi-1165168.html

https://adessobasta.org/2017/08/08/anna-bo...rati-poveri-no/

http://www.ilpopulista.it/news/20-Ottobre-...lla-guerra.html
view post Posted: 21/8/2017, 05:55 l’Isis:Perché l’Isis non fa attentati in Italia?Quali sono le ragioni? - Comportamento sociale
l’Isis:Perché l’Isis non fa attentati in Italia



La mafia e la ’ndrangheta proteggono il territorio? Piuttosto il contrario: sono pronte a fare affari con i jihadisti. Ma nello stesso tempo non sono disposte a rischiare tutto per isolati fanatici.


Dopo la strage di Barcellona, l’ennesima a firma Isis, tornano le minacce all’Italia. Il nostro Paese è «il prossimo», fanno sapere i portavoce del terrore sul canale Telegram usato dai jihadisti. Non è la prima volta che l’Italia viene indicata come obiettivo di possibili attentati. Già ad aprile 2016 sulla rete circolavano messaggi contro Roma e Venezia. Minacce rimaste sempre – e fortunatamente – nel vuoto. Ai proclami non sono mai seguiti i fatti. Anche il Ministero degli interni non sembra particolarmente preoccupato e invita alla cautela: non c’è alcun pericolo concreto e l’allerta è ferma al livello 2, inferiore soltanto a quella che scatta in caso di attacco. Ma perché l’Isis non fa attentati in Italia? Il nostro Paese è l’unico, tra i grandi Stati dell’Europa, a non aver mai subito attacchi terroristici negli ultimi 15 anni. Quali sono le ragioni? Qualcuno pensa «È la mafia che ci difende»; qualcun altro crede invece alla favola sull’efficienza del nostro sistema di antiterrorismo; qualcun altro ancora ironizza: «in uno Stato disorganizzato, anche i kamikaze non riescono a realizzare i loro intenti». La verità però è altrove e se vogliamo trovare un filo conduttore nelle ragioni per cui l’Isis non colpisce l’Italia, questo c’è ed è anche abbastanza chiaro.

L’Italia non è un obiettivo strategico? In una guerra che non ha strategie se non il terrore collettivo, questa tesi è sicuramente errata. Anzi, come riferisce il Post, «tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni Duemila l’Italia era uno dei paesi europei più rilevanti per il terrorismo internazionale: a Milano c’era l’Istituto islamico di viale Jenner, uno degli appoggi logistici più importanti per i volontari provenienti da tutto il mondo che volevano andare a combattere il jihad in Bosnia (l’Istituto fu definito dal dipartimento del Tesoro statunitense «la principale base di al Qaida in Europa»). Sempre a Milano c’era un gruppo che reclutava mujaheddin per combattere nel Kurdistan Iracheno».

Fra l’altro, nonostante le numerose espulsioni compiute dal nostro Paese e l’esperienza pluriennale in materia di terrorismo ,il fatto che l’Italia non abbia ancora subìto grandi attentati terroristici di ispirazione islamista non significa che le cose funzionino alla perfezione. E questo lo sanno tutti, anche gli adepti dell’Isis. Ma allora quali sono le ragioni per cui l’Isis non fa attentati in Italia?

Chi mai, dovendo andare a piazzare una bomba in una stanza, appiccherebbe prima un incendio nel corridoio di collegamento a tale stanza? Senza dubbio, l’Italia è il corridoio dell’Europa. Grazie agli sbarchi clandestini e alla quasi impossibilità di porre sotto controllo tutte le frontiere, gli stranieri – e quindi anche i jihadisti – salgono sui nostri treni (a volte anche senza biglietto), utilizzano le nostre metropolitane, percorrono le nostre autostrade per raggiungere gli altri Paesi Europei. In un periodo in cui tutti gli aeroporti sono presidiati, l’unico modo per arrivare in Spagna, Francia, Inghilterra, Germania, Svezia, ecc. è la via di terra. E la vita di terra ha un unico, solo e grande corridoio: l’Italia, appunto. Peraltro, come aveva detto due anni fa il Procuratore Capo di Reggio Calabria, non è escluso che l’Isis, quando viene in Italia, venga rifornita di armi dalla mafia e dalla ’ndrangheta. Altro che difesa del territorio! (leggi L’Isis in Italia aiutata dalla drangheta?).

Iniziare una politica terroristica in Italia significherebbe allertare le autorità, aumentare i controlli sui porti, alle stazioni; magari mettere sul “chi va là” anche i nostri trafficanti di armi che, di certo, non sono disposti a rischiare controlli e intercettazioni solo per rifornire qualche giovane suicida ideologo, del quale non gliene frega nulla.

Insomma, l’Italia è un granaio per l’Isis: bruciarlo significherebbe distruggere la strada per poter raggiungere il resto d’Europa e continuare a compiere attentati ovunque.

https://www.laleggepertutti.it/172424_perc...ntati-in-italia
view post Posted: 15/8/2017, 11:13 Le vecchiette e il??? Pisello^__^ - Umorismo - test - giochi per tutti
Un vecchietto di oltre novant'anni viene presentato al congresso della Lega Antialcoolica, e gli viene chiesto:
- Lei ha mai bevuto?
- Mai toccato un goccio d'alcool in vita mia! - risponde il vechietto.
- Ecco spiegata la sua longevità! - esclama il Segretario della Lega Antialcoolica.
- E ci dica, - gli domanda ancora il Segretario - come va la salute?
- Va benissimo!
- E la vita? Le sue giornate sono tranquille e felici?
- Tranquille proprio non direi - fa il vecchietto - perché ogni notte ritorna a casa mio padre ciucco come una spugna, e mi sveglia sempre con il baccano che combina!!!
view post Posted: 15/8/2017, 09:29 Si può registrare la conversazione con un poliziotto? - Leggi e link utili per tutti
Si può registrare la conversazione con un poliziotto?

L’AUTORE: Redazione
https://www.laleggepertutti.it/171529_si-p...n-un-poliziotto

Chi vuol registrare ciò che dice un carabiniere, un poliziotto, un vigile urbano, un dipendente del Comune o altro pubblico ufficiale deve osservare alcune regole.
Polizia e carabinieri difendono i cittadini, la loro sicurezza e i relativi diritti. Questo ci viene insegnato sin dalla scuola elementare. Capita tuttavia che anche le forze dell’ordine sbaglino e dimentichino questa loro funzione istituzionale. Lo sa bene chi si è presentato presso una una stazione dei carabinieri per sporgere una denuncia e lì s’è visto frapporre ogni tipo di ostacolo («Chi te la fa fare…», «Si tratta di un tipo noto, un delinquente abituale…», «Rischi una ritorsione…», «Passa domani perché oggi non c’è l’addetto…», ecc.); chi ha subito un controllo della polizia che è andata ben oltre i propri poteri; chi è stato costretto a seguire gli agenti in caserma o in questura, pur senza una legge che preveda tale limitazione della libertà; chi è stato oggetto di una perquisizione ad opera di un posto di blocco o è stato multato pur in assenza dei presupposti e delle violazioni previste dal codice della strada. E in tutti questi casi è logico chiedersi: si può registrare la conversazione con un poliziotto o un carabiniere?

Immaginiamo anche un cittadino che si rechi presso un ufficio del Comune per ottenere un’autorizzazione e lì non trovi mai l’addetto o gli venga richiesto un certificato non previsto dalla legge o, peggio, gli si fa intendere che la sua istanza non verrà mai accolta per dei non meglio precisati motivi. Si può registrare quello che dice il pubblico ufficiale?

Procediamo con ordine e cerchiamo di dare una risposta a questi interrogativi.

Registrare quello che dice un poliziotto può servire per denunciarlo in caso di abuso d’ufficio
Il problema della registrazione di nascosto di una conversazione si può porre non solo verso i privati (il vicino di casa, il collega di lavoro, il capo dell’azienda, un creditore o un debitore), ma anche e soprattutto nei confronti dei pubblici ufficiali; questo perché la loro parola – o meglio, ciò che risulta dal verbale da questi redatto o dai loro atti – fa «pubblica fede»: in altri termini ha più “valore” rispetto a quello che dice o scrive un comune cittadino. Il contenuto di una multa, di un verbale di ispezione, di un interrogatorio, di un avviso di ricevimento compilato dal postino si presume corrispondente al vero fino a che una querela di falso non dimostri il contrario. La «querela di falso» è un particolare procedimento civile volto a provare che i fatti si sono svolti in modo diverso rispetto a quanto riportato sul verbale dal pubblico ufficiale. Per contestare un atto pubblico dunque è necessaria la “prova contraria” (nell’ambito del procedimento di «querela di falso») e questa può essere di qualsiasi tipo, anche una registrazione vocale o un filmato girato di nascosto.

Ecco perché può diventare così importante registrare la conversazione con un poliziotto o un carabiniere: per dimostrare che i fatti sono andati in un determinato modo o che, anche in assenza di un verbale o di un atto ufficiale, il pubblico ufficiale si è comportato in modo illegittimo. Così facendo il cittadino potrebbe anche difendere i propri diritti dalle forze dell’ordine sporgendo denuncia contro il responsabile per uno dei tanti reati previsti in caso di illeciti da questi realizzati come omissione di atti d’ufficio, abuso di atti di ufficio, corruzione, concussione, ecc.

Veniamo ora al problema se è legittimo o meno registrare una conversazione con un poliziotto o un carabiniere. La Cassazione ha più volte detto [1] che è possibile registrare ciò che dice una persona, anche senza il suo consenso, purché ciò non avvenga presso il suo domicilio, gli altri luoghi di privata dimora o comunque ove questa vanta una maggiore sfera di riservatezza (ad esempio l’auto del soggetto registrato, il suo posto di lavoro, lo studio o l’ufficio del datore di lavoro). Ma poiché il commissariato, la stazione dei carabinieri, la questura, gli uffici del Comune sono luoghi pubblici, non si può più parlare di tutela della privacy. Dunque è ben possibile registrare quello che dice un poliziotto o un carabiniere a prescindere dal luogo ove avviene tale registrazione.



Inoltre la registrazione può essere eseguita autonomamente dal privato, senza prima chiedere l’autorizzazione a un giudice o alla stessa polizia (siamo infatti fuori dall’ambito delle «intercettazioni ambientali» in senso stretto, che sono invece quelle eseguite dalla polizia giudiziaria su autorizzazione del magistrato). Detto in termini pratici, chiunque può usare il proprio smartphone, aprire l’applicazione dedicata alle registrazioni vocali o ai filmati e registrare il corso della discussione avuta con il pubblico ufficiale senza prima dover avvisare quest’ultimo di tale attività.

La registrazione o il filmato potrà essere prodotto in processo senza particolari formalità [2], come prova in favore del cittadino dell’illecito operato del pubblico ufficiale.

note
[1] Cass. sent. n. 24288/2016 del 10.06.2016.

[2] L’acquisizione al processo della registrazione del colloquio può avvenire in modo più che legittimo attraverso il meccanismo di cui all’art. 234 co. 1, cod. proc. pen. La disposizione in parola, infatti, qualifica come documento tutto ciò che rappresenta fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo.
view post Posted: 15/8/2017, 07:44 Nella saliva tracce di un'antica specie umana "fantasma" - Archeologia - mistero - viaggiatori del sacro
Nella saliva tracce di un'antica specie umana "fantasma"

Bob Wilder/University at Buffalo



L'evoluzione dei miti
Circa 150.000 anni fa, popolazioni dell'Africa sub-sahariana si incrociarono con una specie umana ancora sconosciuta, di cui si sono trovate tracce nel gene di una proteina della saliva, radicalmente diverso sia da quello degli altri uomini moderni sia da Neanderthal e uomini di Denisova(red)

antropologiagenetica

l'analisi del gene di un'importante proteina della saliva indica l'esistenza di un'antica specie umana, forse finora sconosciuta, che avrebbe contribuito al genoma delle attuali popolazioni sub-sahariane. Lo studio, pubblicato su "Molecular Biology and Evolution" da ricercatori della State University of New York a Buffalo, suggerisce che l'incrocio fra specie strettamente affini fra i nostri progenitori fosse più la norma che l'eccezione.

La scoperta è avvenuta quasi per caso. Omer Gokcumen e colleghi stavano studiando l'origine di MUC7, una delle proteine che compongono la saliva, che è particolarmente efficace nel legare e intrappolare i batteri.

Nella saliva tracce di un'antica specie umana "fantasma"
Cortesia Bob Wilder/University at Buffalo
Mentre cercavano di ricostruire l'evoluzione della proteina analizzato il gene MUC7 in più di 2500 umani moderni, si sono accorti con sorpresa che i campioni provenienti da soggetti dell'Africa sub-sahariana avevano una versione del gene decisamente diversa da quelle trovate negli altri.

La variante sub-sahariana era così particolare che anche i geni MUC7 dei Neanderthal e dell'uomo di Denisova erano molto più simili a quelli degli umani moderni rispetto a essa.

"Sulla base della nostra analisi, la spiegazione più plausibile di questa estrema diversità è che in epoca arcaica sia stato introdotto materiale genetico proveniente da una specie 'fantasma' di antichi ominidi", dice Gokcumen. "Questo nostro parente umano sconosciuto potrebbe essere una specie già scoperta, per esempio una sottospecie di Homo erectus, o una ancora sconosciuta. La chiamiamo specie fantasma perché non disponiamo di suoi fossili."

Considerata la velocità a cui mutano i geni nel corso
dell'evoluzione, i ricercatori hanno calcolato che gli antenati delle persone che sono portatrici della variante sub-sahariana di MUC7 devono essersi mescolati con un'altra antica specie umana circa 150.000 anni fa, mentre la divaricazione evolutiva delle due specie doveva essere iniziata fra 1,5 e 2 milioni di anni fa circa.

"A quanto pare" ha aggiunto Gokcumen, "l'incrocio tra specie diverse di ominidi arcaici non era l'eccezione ma la norma" .

www.genetycwird.org
view post Posted: 15/8/2017, 07:41 L'agopuntura veterinaria - Cure mediche per cani e gatti ( *Deathena*)
L'agopuntura veterinaria è una tecnica della Medicina Tradizionale Cinese, e come tale è una medicina energetica.

La Medicina Cinese risale agli albori della cultura cinese, si sviluppa nel II millennio a.C., si organizza e struttura nel III-II secolo a.C.; da allora è stata tramandata fino ai giorni nostri attraverso oltre venti secoli di pratica clinica.

In Italia l'agopuntura venne introdotta nel secondo dopoguerra, inizia a diffondersi a partire dagli anni Sessanta-Settanta, consolida la sua espansione negli anni Ottanta e si radica come pratica medica negli anni Novanta.

I primi trattamenti di agopuntura cinese sugli animali risalgono alla "Dinastia Shang", 1766 a.C. - 1122 D.C., durante la quale soltanto i guaritori, conosciuti come "horse priest", potevano placare le divinità maligne che si impossessavano del paziente, causandone la malattia.

Il primo medico veterinario agopuntore a tempo pieno fu Shun Yang, detto anche Pao Lo (480 a.C.) ed è considerato il padre della medicina veterinaria cinese.


I principi dell'agopuntura

L'agopuntura è una medicina energetica.

Questa tecnica si basa sul concetto di Energia il QI che scorre all'interno di ogni organismo.

Il QI è composto da un polo negativo Yin e un polo positivo Yang, e scorre all'interno di canali detti "meridiani" i Jing Mai che permettono la sua circolazione all'interno dell'organismo attraverso visceri e organi.

Quando l'energia è regolarmente prodotta e il suo flusso è armonioso e ben incanalato nei percorsi energetici, l'animale è in una condizione di equilibrio che definisce il suo stato di salute.

Se si verifica una stasi del flusso energetico, una sua mancanza di produzione o una sua carenza, si determina uno squilibrio che favorisce l'instaurarsi della condizione di malattia o di dolore.

Con la stimolazione di punti lungo il decorso dei meridiani coinvolti si cerca di ristabilire la normale circolazione energetica, di incrementare il QI, di eliminare il vuoto o il pieno che hanno determinato il dolore.

Per stimolare i punti vengono utilizzati tradizionalmente aghi cinesi di acciaio o acciaio con manico di rame, lunghezza variabile (1,3 cm, 2,5cm, 4 cm) e di diametro molto sottile 28-30 gauge monouso e sterili.

Altre tecniche terapeutiche possono usare i punti di agopuntura come la moxibustione, Tuinà, Shiatsu, l'elettrostimolazione, la stimolazione con laser, la magnetoterapia. L'agopuntura può essere associata alla fitoterapia, fiori di bach, omotossicologia, all'idroterapia, fisioterapia.

Il tipo di trattamento e la frequenza sono variabili da individuo a individuo poiché la MTC prende in considerazione l'individuo nel suo insieme e non si focalizza solo sulla lesione, patologia in atto o singolo sintomo. Infatti non è solo una medicina energetica, ma anche Olistica (da Holos tutto, intero globale). Nel "Nei Jing So Wen" è scritto: "per trattare la malattia bisogna andare fino alla radice" (cap. 5). Il medico veterinario agopuntore per la sua diagnosi tiene presente non solo le alterazioni fisiche ma anche mentali e comportamentali. Quindi anche per lo stesso tipo di problema avremo un trattamento di base simile, ma poi in base al soggetto verrà fatta la Sua terapia.

La possibilità d'intervenire globalmente sul soggetto e la pratica clinica olistica propria dell'agopuntura veterinaria permettono d'intervenire sull'animale non solo su patologie in atto, ma anche di rinforzare la sua energia come profilassi o prevenzione, e di promuovere la vitalità e la sanità del soggetto stesso.


Effetti dell'agopuntura

L'agopuntura ha numerosissimi effetti:

* Effetto antalgico-analgesico
* Effetto immunomodulatore-antinfiammatorio
* Effetto di regolazione neuroendocrina
* Effetto sul tono muscolare
* Effetto vasomodulatore-trofico
* Effetto sulla sfera psicoemotiva


Applicazioni dell'agopuntura veterinaria

Possiamo ottenere dei grossi risultati nel campo delle patologie osteo-muscolari, nella terapia del Dolore, patologia della sfera riproduttiva, negli squilibri ormonali, nelle patologie dell'apparato Respiratorio e dermatologico, nelle patologie geriatriche, problemi comportamentali…. Ed infine, ma non per ultimo anche come medicina preventiva, per la diagnosi e negli animali sportivi per il miglioramento delle loro performances atletiche.

www.avc.net
view post Posted: 15/8/2017, 06:46 MEDICINA OLISTICA :La Gemmoterapia nei piccoli animali - Cure mediche per cani e gatti ( *Deathena*)
La Gemmoterapia nei piccoli animali


Deriva dalla fitoterapia e si diversifica per l’impiego di tessuti freschi vegetali allo stato embrionale(gemme o giovani germogli) i cui principi attivi sono estratti mediante un solvente appropriato.
Fu un medico belga Paul Henry, nel 1965, che si dedicò a questa tecnica e alla preparazione di questi rimedi.
Le parti vegetali devono essere raccolte nel loro periodo balsamico, in cui cioè vi è la massima concentrazione di principi attivi che coincide generalmente con l’inizio della primavera.
Le gemme raccolte allo stato fresco dopo accurata pulizia e triturazione vengono lasciate a macerare per 3 settimane in opportune miscele di alcool e glicerina (da qui il termine macerato glicerico, M.G., con cui vengono denominate queste preparazioni).
Dopo questo periodo, la soluzione filtrata subisce una diluizione particolare detta decimale hahnemaniana, che sta ad indicare una sorta di deconcentrazione della sostanza di partenza ottenuta dopo la macerazione,con un rapporto di 1 a 10, cioè una parte di estratto e 9 parti di veicolo idroalcolico.
Il gemmoterapico così ottenuto è pronto per essere somministrato all’animale, nel cibo nell’acqua,sulla pelle, sul naso, sul tartufo, in forma diluita con latte o miele, in modo da esplicare la sua attività terapeutica.
Una delle preparazioni più impiegate è quella a base di ribes nero, macerato glicerico 1 dh; molto utile in caso di allergie cutanee, come coadiuvante nei trattamenti di manifestazioni spastiche respiratorie, come antipiretico, ad attività simil cortisonica.
La betulla (Betulla pubescens), come gemmoderivato ha dimostrato in varie prove di laboratorio di manifestare una forte attività depurativa del sangue, stimolando l’attività del ricambio dei liquidi corporei su rene e fegato ed aumentando in topi da laboratorio un aumento del 37% la capacità depurativa del sangue.
La Tilia Tormentosa, viene impiegata per la sua attività calmante, sedativa,come gemmoderivato, se poi ad essa vengono associati farmaci ipnotici come il Thiopentale, si è visto che l’azione combinata risulta raddoppiata,rispetto ai singoli prodotti, ciò indica che questa associazione permette di ridurre i dosaggi con farmaci chimici a vantaggio del paziente, che assume dosi minime di sedativo.

Alcune indicazioni per le patologie più comuni di rimedi fitoterapici, non dimenticando che dosi e modalità di somministrazioni vanno concordate col vostro veterinario evitando improvvisazioni non adeguate:

=Affanno: olmo, frassino, tiglio.
=Anemie: alghe marine, carota, coda cavallina.
=Antisettica azione: aglio, timo, eucalipto, quercia, ginepro.
=Antispastica azione: tiglio
=Appetito stimolante: fieno greco.
=Astringente intestinale: consolida, tormentilla, quercia.
=Battericida naturale: aglio, calendula.
=Cardiotonico: fagiolo verde.
=Cicatrizzante: calendula, consolida, cavolo.
=Ciclo estrale degli animali: salvia officinalis, artemisia.
=Colesterolo in aumento: tarassaco, carciofo, genziana, cardo benedetto.
=Contrazioni intestinali: salterella, tormentilla, consolida, quercia.
=Costipazione: tarassaco, carciofo, olmo, frassino.
=Crescita favorevole: alghe marine, crusca, carota, soja, fieno greco, ortica.
=Debolezza generale: angelica officinale.
=Decalcificazione, osteoporosi: fumaria, ginseng, frassino, ortica, coda cavallina, angelica, erba medica.
=Dentizione disturbi: carota, carruba, tormentilla, camomilla, quercia.
=Diarrea: ortica, salterella, tormentilla, quercia, consolida maggiore, carota e mela.
=Digestione disturbi: tarassaco, cipolla, avena, prugna, crusca, mela, erba medica, aglio, assenzio, santolina, consolida e mentuccia.
=Diuretica attività: tarassaco, carciofo, soja,coda cavallina, alghe marine,ortica, viola del pensiero, salterella, tormentilla, consolida maggiore.
=Emorragia : coda cavallina, ortica.
=Febbre: frassino.
=Fegato congesto: tarassaco, carciofo, tiglio.
=Fegato insufficiente: cipolla,fagiolo verde,mela.
=Gravidanza immaginaria: migliarole, artemisia, senecione luppolo, salvia, senecio, germe di grano.
=Infettive malattie: mela, carota, cipolla.
=Insetticida: bosso, timo, cappuccina, ortica, consolida maggiore, eucalipto e noce.
=Intestino “riscaldato”: tarassaco, carciofo, genziana, cardo benedetto.
=Intestino irritato: tarassaco, carciofo.
=Intestino da moderare: carruba, carota e mela.
=Ipertensione: aglio.
=Lassativi: spinacio, porro, banana acerba, prugna, avena, crusca di grano, viola del pensiero, lievito di birra.
=Longevità: ginseng, fumaria, ortica, angelica, erba medica, fumaria, frassino.
=Nervoso, sistema nervoso: fagiolo verde, porro, carota, mela, lievito di birra.
=Ovaie stimolante: artemisia, senecione.
=Parassiti intestinali: assenzio, tanaceto, santolina e aglio.
=Parassiti della pelle: noce, eucalipto, mentuccia.
=Pelle, sua cura con: fumaria, ortica, bosso, timo e cappuccina.
=Pelo,sue malattie: lievito di birra, timo, cappuccina, ortica e consolida maggiore.
=Piaghe: cappuccina, ortica, mentuccia eucalipto, consolida.
=Pruriti: bardana, bosso, cappuccina, timo, consolida maggiore.
=Rachitismo: coda cavallina, fieno greco, germe di grano, ortica, erba medica.
=Reumatismo:frassino, tiglio.
=Sedentarietà: tarassaco, carciofo e genziana.
=Stitichezza: cipolla, fagiolo verde, avena, crusca, germe di grano, guaro e tarassaco.
=Tenia verme: matricaria, assenzio, tanaceto, santolina e aglio.
=Tosse: olmo, tiglio, fanfara.
=Vomito: tarassaco, carciofo.

Di queste indicazioni generali esistono in commercio vari preparati a base di tinture madri associate anche a fitogemmoterapici in composizioni standard, quindi la scelta e l’applicazione sugli animali è molto facilitata nella ricerca di rimedi fitoterapici con formule particolari che consentono di operare con la massima tranquillità, coprendo uno spettro di manifestazioni patologiche curabili molto vasto,per tale motivo mi sembra giusto evitare di nominare i nomi commerciali o di fantasia presenti in farmacie ed erboristerie, l’unico consiglio che posso dare è quello di fare sempre riferimento alla composizione del prodotto in base alle piante che cerchiamo; se talvolta oltre a quelle di cui abbiamo bisogno ve ne sono altre di cui non conoscete l’attività, parlatene col farmacista o con l’erborista, avrete senz’altro la riposta più adeguata.

Bibliografia
- Prontuario di omeopatia: Mario Aluigi, consigli pratici di terapia energetica per le famiglie. Guaraldi/Gufo edizione 1996.
- Le altre Medicine: Mario Aluigi, compendio di medicina omeopatica e medicina tradizionale cinese AIEP/Guaraldi Editore 1994.
- Agopressione: il metodo d’agopuntura senza aghi Maurizio Rosemberg Colorni Red/Edizioni 1993.
- Teoria e metodologia omeopatica in medicina veterinaria: Sergio Canello IPSA Editore 1995.
- Thérapeutique homéopatyhique vétérinaire: Marie-Noelle Issautieur-Henry Calvet Boiron Edition France 1987.
- Nuovi Orizzonti in medicina, la teoria dei biofotoni: Fritz Albert Popp IPSA Editore 1984.
- Fitogemmoterapia nella pratica clinica: Bruno Brigo Edizioni Boiron 1988
- Le medicine naturali: Bruno Brigo cd multimediale VERSIONE NATURA MEDICATRIX Edizione Tecniche Nuove 1998.
- Medicina Nnaturale 11 approcci terapeutici… versione cd rom Edizione Tecniche Nuove 1999.
- Omeoptaia Veterinaria: Franco del Francia edizione red 1988.
- Omeoptaia in agricoltura: Luca Speciali Editore Clesav Ricerche 1987.
- Erbe medicinali e alimentazione naturale per cani e gatti: Osvalda Oasi Bertolini, Anna Vigoni Marciani Edizioni Tecniche Nuove 1993.
- Cronobiologia Cinese: Gabriel Flaubert,Pierre Crepon Edizioni Red 2000.
- Oligoterapia: Dimitri Mitropulos Edizioni Editorium 1994.
- Atlante di agopuntura Veterinaria: Luciano Roccia, Marzio Panichi Edizioni Minerva Medica 1978.
- Mesoterapia agopunturale veterinaria: Mario Aluigi Edizioni Luise’ 1987.
- Omeoptaia facile: John H.Clarke manuale pratico di prescrizione Edzione IPSA 1992.
- Fitoterapia Comparata: Comitato Editoriale Aboca Edizioni Aboca 1993.
- Corso di energetica dei sistemi viventi: Maurice Mussat (Volume 1-2-3) Editore CISU 1987.
- Guarire con l’omeopatia il gatto: K.Sheppard Editore DEL RICCIO 1983.
- Guarire con l’omeopatia il cane K.Sheppard Editore DEL RICCIO 1987.
- Naturopatia: Fabio Ambrosi Edizioni GB 1999.
- Erbe per la salute dei piccoli animali: Max Rombi Editore Red 1989.
- Materia Medica Omeopatica: Henry Duprat Editore Fratelli Palombi 1984.
- Omotossicologia: Hans Heinrich Reckeweg Editore Guna 1988.
- Organon, dell’arte di guarire: C.F. Hahanemann Editore Red 1985.
- Le malattie croniche: C.F.Hahanemann Editore Edium 1980.


Sito Web SIAV.www.siav-itvas.org
view post Posted: 15/8/2017, 06:43 D.N.A.CHIMERA- ECCE HOMO ..ECCE MAIALUS - DNA - Genetica - Virus
Creati maiali con Dna modificato per trapianti d’organi sull’uomo
Passi avanti rilevanti nella tecnica del «Gene Editing». Entro un paio di anni possibile impiantare organi di maiali geneticamente modificati senza rischi per gli esseri umani

Maialini con il dna modificato apriranno nuove frontiere per i trapianti di organi negli esseri umani (eGenesis) Maialini con il dna modificato apriranno nuove frontiere per i trapianti di organi negli esseri umani

Un gruppo di ricercatori internazionali ha compiuto un passo avanti significativo nella possibilità di trapiantare «entro un paio di anni» organi di maiali geneticamente modificati senza rischi per gli esseri umani. È quanto riferisce uno studio pubblicato su Science secondo il quale utilizzando la tecnica del cosiddetto «Gene Editing» (la modificazione di alcune sequenze delle basi del Dna, adenina, citosina, guanina e timina) e la clonazione, sono stati creati maiali privi di «malattie» che potrebbero contagiare gli esseri umani trapianti con gli organi dei suini, considerati dalla scienza la razza animale con maggiori similitudini, per dimensioni e funzionalità degli organi interni, all’uomo. La ricerca, che ha utilizzato la tecnica del «taglia e incolla del Dna» ha coinvolto

America, Cina e Danimarca ed è stata coordinata dall’azienda biotech eGenesis di Cambridge.
Eliminati retrovirus pericolosi per l’uomo


Il punto di forza di questo nuovo lavoro (la ricerca sul tema prosegue dagli anni Novanta) sta nell’aver riprodotto nei maiali vivi un risultato che finora era stato ottenuto solo su cellule coltivate in provetta, ovvero l’eliminazione dei retrovirus endogeni porcini: questi sono dei virus integrati nel genoma del maiale che possono essere inaspettatamente rilasciati, causando infezioni rischiose per la salute umana in caso di trapianto d’organo. La loro pericolosità è stata verificata in laboratorio dagli stessi ricercatori: i virus sono riusciti a «saltare» dalle cellule porcine alle cellule umane coltivate nella stessa provetta, e poi hanno continuato a propagarsi ad altre cellule umane mai entrate in contatto con quelle animali. Dopo aver individuato la posizione esatta di queste mine vaganti nel Dna porcino, i ricercatori le hanno disinnescate usando le forbici molecolari della Crispr. I nuclei delle cellule così modificate sono stati trasferiti all’interno di cellule uovo private del loro nucleo originale: in questo modo si sono formati embrioni che poi, impiantati nell’utero di una scrofa, hanno dato vita a cuccioli completamente privi dei virus, alcuni dei quali sono ancora vivi a quattro mesi dalla nascita. Il prossimo passo dei ricercatori sarà quello di tenere questi animali sotto stretto monitoraggio in modo da verificare l’insorgenza di eventuali problemi a distanza di tempo. A quando il primo trapianto di un fegato, di un cuore o di altri organi da maiale a uomo? George Church, del gruppo di Harvard che ha partecipato allo studio azzarda: «Entro due anni», ma gli scienziati del mondo, pur confermando l’importante passo in avanti, invitano alla cautela. David Sachs, professore di chirurgia alla Columbia University: «Temo che gli obiettivi di trapianto su uomo siano più difficile da raggiungere rispetto a quanto ci si aspetti, ma spero di sbagliarmi».


Mancano all’appello migliaia di donatori ????


Lo sviluppo, riferisce il New York Times, è determinante per la scarsità di donatori e quindi di organi umani da trapiantare: solo negli Usa sono stati trapianti 33.600 organi umani lo scorso anno ma i pazienti in lista di attesa sono 116.800. Solo negli Usa ogni giorno muoiono 22 persone in attesa di trapianto. La scoperta, una volta messa a punto, avrà inevitabili implicazioni di natura etica con alcuni gruppi religiosi, come ebrei e musulmani, che rifiuteranno qualsiasi ipotesi di trapianti dai suini, considerate da entrambe le religioni animali impuri.

L'UOMO E COME IL MAIALE...NON SI BUTTA VIA NULLA ..LO DICEVA IL MIO DOCENTE DI CHIRURGIA!!


L'azienda scozzese di biotecnologie che nel '97 ottenne la pecora Dolly è riuscita a clonare maiali geneticamente modificati. Si tratta di una première mondiale che spiana la strada verso la produzione di animali "umanizzati" da usare quale fonte di organi per il trapianto. L'idea di trasformare i maiali in fabbriche di tessuti e organi di ricambio per l'uomo è nell'aria da tempo. La marcia di avvicinamento è passata per una basilare tappa nel marzo del 2000 con la clonazione da parte della PPL Therapeutics (la stessa di Dolly e dell'exploit di oggi) di cinque maialine, che però conservavano il loro genoma originale.

Ora i ricercatori hanno fatto di più: hanno costruito cinque copie di suino geneticamente identiche ma che hanno nel Dna un marcatore estraneo, tale da avvicinare, dal punto di vista immunologico, gli animali all'uomo.

I maiali si allevano facilmente, hanno organi di dimensioni compatibili con quelli umani e il loro uso non solleva i problemi etici che si avrebbero con le scimmie superiori. Sono dunque, almeno in teoria, il serbatoio ideale di organi per uso umano, ovvero il rimedio alla cronica penuria di cuori, fegati, reni da cadavere. Diciamo "in teoria" perché nella pratica lo xenotrapianto si scontra con formidabili problemi di rigetto. L'organo "donato" dal maiale e messo in opera nell'uomo provoca una rivolta nell'organismo ricevente che lo respinge ancor più violentemente di un tessuto umano male assortito. Può anche accadere il contrario, e cioè che l'organo attacchi l'organismo che lo ospita, con esito ancor più grave. Ciò che provoca il rapido rigetto degli organi di maiale è una molecola di zucchero presente sulla superficie delle cellule porcine che le connota come inequivocabilmente non umane: quando il sistema immunitario del trapiantato le individua, ecco che scattano le difese.

Gli scienziati della società scozzese, che lavora con l'Istituto Roslin, patria di Dolly, non forniscono particolari, ma si può presumere che la metodica usata sia la seguente. Dapprima è stato isolato il gene alpha 13 gal transferasi che codifica per lo zucchero superficiale; il gene è stato poi eliminato dal nucleo delle cellule suine; il nucleo così modificato è stato quindi inserito in un ovocita enucleato di scrofa e da ultimo ovociti ingegnerizzati sono stati inseriti nell'utero di una scrofa portatrice che ha dato alla luce cinque porcellini transgenici "sugarfree".

Se questo è stato il percorso, non si può peraltro dire che l'abbattimento del genechiave per lo zucchero apra l'atteso magazzino degli organi. La manovra risolve probabilmente il problema del rigetto a breve ma non quello che si verifica nel lungo periodo per il coagularsi del sangue intorno al nuovo organo. Per superare questo secondo inconveniente sarà necessario ristrutturare tratti di Dna diversi, che codificano per gli anticoagulanti. Neppure tale ulteriore tappa sarà però risolutiva: coloro che ricevessero organi di maiali umanizzati dovrebbero quasi certamente assumere vita natural durante la stessa panoplia di farmaci antirigetto che oggi contrassegna la quotidianità dei trapiantati con organi umani. Resta infine il pericolo infezione, in quanto retrovirus presenti nel genoma porcino potrebbero passare nell'uomo attraverso il trapianto. Ciò detto, l'exploit scozzese mantiene la sua importanza.

Le prime esperienze cliniche, cioè sull'uomo, potrebbero cominciare - prevedono gli scienziati della PPL - tra quattro o cinque anni. Dato che nel mondo ci sono più di centomila persone in attesa del trapianto salvavita, il mercato degli organi animali potrebbe valere cinque miliardi di dollari. All'annuncio della clonazione delle cinque maialine, un anno fa, le azioni della PPL alla Borsa di Londra salirono in una seduta da 88,5 a 252,5 pence. I mammiferi finora clonati nel mondo sono più di trecento.

I prodromi della duplicazione animale risalgono al 1962, anno della produzione a Oxford di una rana replicante; ai primi anni Settanta, quando manipolando cellule embrionali fu dimostrata la fattibilità della clonazione di animali superiori; al 1997, l'anno di Dolly; e infine al '98, quando Ruyzo Yanagimachi e gli scienziati dell'università delle Hawaii a Honolulu riuscirono a clonare diverse generazioni di topi partendo da una unica femmina adulta.

L RITORNO DEGLI XENOTRAPIANTI …
(Risposta al prof. Robert Winston)



A partire dagli anni ’90 il trapianto di organi di animale nell’uomo (xenotrapianto) è stato rilanciato, con cadenza ciclica, come proposta innovativa per la soluzione dei nostri mali, in svariate parti del mondo (in particolare: negli Stati Uniti, con Thomas Starzl a Pittsburg; in Italia, con Marcello Cortesini, e in Inghilterra).
Il Comitato Scientifico EQUIVITA ritiene che ad ognuno di questi rilanci si siano regolarmente trascurate almeno quattro informazioni rilevanti.

1) Dei numerosi tentativi già fatti nessuno è mai riuscito. Tutti i trapiantati, sia uomini che animali-cavia, sono morti in seguito a terribili agonie.

2) Il pericolo (oggi citato nella stampa) di vaste epidemie che potrebbero diffondersi nella popolazione umana anche con un solo xenotrapianto (i virus latenti nell’animale acquistano facilmente nuova virulenza per effetto degli immunosoppressori) ha indotto il governo inglese a prevedere l’obbligo di una dichiarazione da sottoscrivere per il candidato allo xenotrapianto in cui egli si sarebbe impegnato a non avere figli, a rendere noto ogni suo rapporto sessuale e ad essere disponibile, se necessario, al confinamento. Il passo successivo fu un divieto del Governo inglese a procedere in questa sperimentazione. Tali divieti si sono ripetuti in altri paesi.

3) il pericolo più grave è quello che riguarda il paziente. Esso va ben oltre quello del rigetto. Lo xenotrapiantato diventa, come da definizione di Thomas Starzl, una “chimera post-operatoria” (e andrebbe comunque ricordato che la dichiarazione UNESCO sul Genoma Umano vieta la creazione di chimere umane). Come dimostrano gli studi scientifici eseguiti, le cellule dell’animale si diffondono in tutto il suo corpo (un’altra squadra di ricercatori statunitensi diretta da David Sachs proponeva infatti di far precedere il trapianto d’organo da un trapianto di midollo osseo dell’animale per rendere il paziente “più compatibile”). Di conseguenza lo xenotrapiantato sarà uomo solo al 90% (o 95%, o 80%?). Con quali conseguenze? Di certo l’organo d’animale trapiantato nell’uomo non si comporta come un organo isolato, come un nuovo radiatore in una macchina …

4) Nessuno sembra inoltre valutare il problema etico legato a questa inquietante breccia aperta nella barriera tra le specie. Poiché le cellule animali si annidano ovunque, la linea di confine tra maiale e uomo viene cancellata. Come sarà modificata l’identità stessa dell’essere umano? Chi dichiara, in difesa di questa tecnologia, che esiste una barriera sangue-cervello, trova molti scienziati contrari a tale tesi. Essi ritengono che non sia possibile scindere il cervello dal resto del corpo.
E quale sarà inoltre il numero di geni umani che, nel tentativo di “umanizzarlo” al massimo, si potranno introdurre in un animale prima che anch’esso diventi chimera umana, magari con diritti civili … ?

Gli investimenti colossali fatti nella ricerca sugli xenotrapianti, voluti soprattutto dagli interessi delle industrie biotech, sempre alla ricerca di nuovi mercati e nuove fonti di guadagno (in questo caso gli allevamenti di animali geneticamente modificati ed i diritti sui brevetti che li coprono), hanno rappresentato fino ad oggi uno sperpero enorme di risorse.

Il Comitato Scientifico EQUIVITA ritiene che una ricerca che voglia realmente migliorare la salute umana, non creando rischi per la collettività, dovrebbe avere come fine il miglioramento del nostro ambiente e stile di vita. Dovrebbe andare nella direzione della prevenzione (ad esempio combattendo l’inquinamento chimico). La prevenzione elimina i mali dall’origine ed è oggi, oltretutto, indispensabile.
Sarebbe priva di quella spettacolarità oggi tanto ricercata, ma avrebbe costi di gran lunga inferiori e risultati garantiti per tutti … non soltanto per coloro che possono affrontare il costo dello xenotrapianto.


11/9/2008

ORGANI ANIMALI PER L'UOMO, CANCELLATA L'ETICA DELLA SOLIDARIETA'

L'EGOISMO APPLICATO ALLA SCIENZA.

11 settembre 2008 - Si ritorna a parlare di trapianti di organi, questa volta da animali all'uomo dopo l'annuncio del professor Robert Winston che inizierà negli Stati Uniti la produzione di suini geneticamente modificati, allevati per fornire un numero inesauribile di "pezzi di ricambio" per gli esseri umani. La nuova tecnica prevede di creare suini Ogm iniettando geni umani nei testicoli di un maiale o nel suo sperma. Si potrebbe così arrivare alla costruzione di fattorie dove centinaia di suini umanizzati verrebbero allevati per lo sviluppo di organi da trapiantare. Ma si tratta, come sembra credere il professor Winston, di un problema solo tecnico? In realtà, lo xenotrapianto presenta aspetti bioetici del tutto peculiari: non ci si limita, infatti, come nella sperimentazione classica, a servirsi degli animali come cavie. L'utilizzo dei loro organi rappresenta, a causa dello scambio di materiale genetico, una vera e propria interazione tra le specie. È questo un salto di qualità decisivo giacché, per la prima volta, il problema bioetico è davvero interspecifico in quanto si pone in relazione sia ai soggetti umani e ai loro diritti che ai soggetti animali e alle loro esigenze. Mi sembra, pertanto, dia prova di straordinaria superficialità chi pensa che l'espianto di un organo da un animale sia una semplice operazione di trasferimento da un corpo a un altro. Proprio perché siamo animali simbolici - che conferiscono senso e attribuiscono significato al loro agire - lo xenotrapianto non può non mettere in causa le nostre idee di umanità e di animalità e le rappresentazioni che ce ne facciamo. Quale potrebbe essere, occorrerebbe chiedersi, l'impatto dello xenotrapianto sulla dimensione simbolica? Quali effetti potrebbe scatenare l'inserimento nel nostro corpo di un organo di una specie "straniera" (xenos) se già l'organo di un individuo umano - il cosiddetto allotrapianto - suscita turbamenti e inquietudini profonde? La stessa umanizzazione dell'animale non sarebbe sufficiente a placare le nostre inquietudini. Probabilmente, la diffusa avversione nei confronti dello xenotrapianto - che potrebbe avere le motivazioni più diverse, dalla paura della contaminazione animale fino al rifiuto, sul versante opposto, di ridurre gli animali a meri serbatoi di organi - si radica nel sentimento di una perdita: la perdita di quel rapporto privilegiato tra i membri della nostra stessa specie che ci rende, o dovrebbe renderci, più sensibili alle loro esigenze e più pronti a corrispondere alle loro richieste di aiuto. Il legame - di famiglia, di nazione e anche di specie - è alla radice dei comportamenti solidali, degli atti che, come la donazione, implicano un sovrappiù di coinvolgimento affettivo e di impegno etico: lo xenotrapianto ne rappresenterebbe la perdita irrevocabile. In un'etica di solidarietà, estesa all'intero genere umano, l'allotrapianto risponde ai bisogni del nostro prossimo senza bisogno di imporre sacrifici ai membri di altre specie, evitando, altresì, i rischi medico-sanitari, dal rigetto alla trasmissione di virus, che lo xenotrapianto potrebbe comportare. Da qui un'etica della responsabilità che tenga conto sia degli speciali doveri verso i nostri simili oltreché della nuova sensibilità verso i non umani. In effetti, chi è seriamente preoccupato del problema della sofferenza (umana e animale) dovrebbe sentirsi impegnato in prima persona a eliminare quella che è, secondo il professor Winston, la giustificazione dello xenotrapianto: la cronica mancanza di organi umani disponibili. La risposta più appropriata dovrebbe consistere in una cultura della donazione che, in opposizione a ogni egoismo (personale e di specie) e in contrasto con ogni feticismo del corpo, promuova valori di solidarietà e di condivisione, sia all'interno della nostra specie che con le altre. Luisella Battaglia, docente di filosofia morale e bioetica all'Università di Genova e membro del Comitato nazionale per la bioetica.


da Il Secolo XIX
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