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CODICE MEDICO ITALIANO 2 PARTE

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view post Posted on 28/11/2014, 06:52
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In questo contesto la comparsa di patologie gravi da farmaci - che recenti stime relative agli Stati Uniti indicano in circa 2 milioni di casi, con oltre centomila morti all'anno collocandosi tra la quarta e la sesta causa di morte - non è accettata dai danneggiati e dai loro congiunti, sostanzialmente ignari di questi concreti rischi e quindi inevitabilmente inclini ad attribuirne la colpa ai medici. Il problema è rilevante anche dal punto di vista economico. Un recente studio valuta in più di 76 miliardi di dollari il costo annuale, negli Stati Uniti, dell'uso improprio dei farmaci. Esistono evidenze che in Italia e in Francia il 20% delle spese da farmaci riguardi prodotti la cui efficacia non è comprovata. Recenti ricerche in farmacoeconomia hanno inoltre indicato che i costi associati all'uso inappropriato, ovvero eccessivo, dei farmaci possono persino essere anche superiori alle stesse spese iniziali per l'acquisto dei farmaci. Questi costi comprendono le spese addizionali correlate all'incremento delle ospedalizzazioni, al protrarsi delle degenze, al ricorso a visite ambulatoriali, procedure diagnostiche e trattamenti aggiuntivi dovuti ai problemi insorti a seguito della prescrizione farmacoterapica. Includendo in tali calcoli anche i costi indiretti derivanti dalla perdita di produttività, i costi complessivi negli USA ammonterebbero a una cifra compresa tra 138 e 182 miliardi dollari, ponendo dunque la mortalità e la morbilità correlate all'uso di farmaci tra le evenienze più gravose in termini di consumo di risorse in sanità. In Italia gli avvelenamenti ed effetti tossici da farmaci (DRG 449-451) hanno comportato nel 1994 oltre 20.000 ricoveri, e circa 28.000 nel 1995. Tali dati peraltro sottostimano il problema per almeno due motivi: anzitutto in quanto si riferiscono alle sole reazioni avverse da farmaci già codificate come diagnosi principale, in secondo luogo in quanto si riferiscono alle sole reazioni avverse e non anche a dosaggi inappropriati ed alle scelte terapeutiche incongrue. Problemi ancora maggiori sono suscitati dai vaccini, dei quali si richiede da molte parti la revoca dell'obbligatorietà o quanto meno una maggiore conoscenza dell'epidemiologia dei danni da effetti avversi. Il direttore del British Medical Journal (Smith 1999), in un suo editoriale ha sintetizzato le esigenze irrinunciabili dell'informazione che deve essere fornita all'opinione pubblica : la morte è inevitabile; la maggior parte delle malattie gravi non può essere guarita; gli antibiotici non servono per curare l'influenza; le protesi artificiali ogni tanto si rompono; gli ospedali sono luoghi pericolosi; ogni medicamento ha anche effetti secondari; la maggioranza degli interventi medici dà solo benefici marginali e molti non hanno effetto; gli screening producono anche falsi positivi e falsi negativi; esistono modi migliori di spendere i soldi che destinarli ad acquisire tecnologia medico-sanitaria.

Riscrivere le regole del rapporto tra società e medicina, al fine di stipulare un nuovo patto per i prossimi anni, richiede, da parte della medicina, un rilevante sforzo di sincerità, indubbiamente difficile per ragioni tecniche, anzitutto, ma anche per ragioni psicologiche non trascurabili. Tuttavia tale sforzo deve essere necessariamente compiuto e gli organi di informazione devono contribuirvi abbandonando ogni tentazione al sensazionalismo ed alla facile accusa che sono tra i principali ostacoli che inibiscono la sincerità dei medici.

12. L' equità a livello intercontinentale: i problemi delle società emergenti

I criteri etici che dovrebbero guidare la realizzazione di modelli di razionamento delle risorse nei paesi economicamente sviluppati, assumono una dimensione diversa e ancora maggiore quando si affronta il problema delle iniquità che affliggono l'erogazione sanitaria dei paesi poveri. Mentre infatti per i paesi economicamente sviluppati si pongono problemi etici di equità nella distribuzione di prestazioni sanitarie a fronte di risorse non illimitate ma comunque potenzialmente sufficienti a colmare i bisogni primari dell'intera popolazione, nei paesi ancora arretrati le carenze economiche sono tali da indurre a considerazioni etiche sulle cause di queste grandi disparità di risorse e di condizioni di vita e sui possibili interventi da realizzare per porre rimedio a tali livelli di bisogno. Alcuni esempi e alcune cifre illustrano la dimensione del problema economico e la diversità dell'approccio etico necessario.

Nei paesi sviluppati la speranza di vita alla nascita è di 77 anni, contro i 56 (escluse Cina e India) dei paesi a basso reddito. Il tasso di mortalità infantile è di 6 per mille nati vivi nei paesi sviluppati mentre nei paesi poveri è pari all' 88 per mille. Nei paesi sviluppati la spesa pro-capite per la sanità è mediamente di 2.400 dollari, contro i 18 dollari dei paesi poveri. Il dato più impressionante riguarda il Prodotto Interno Lordo (PIL). Nonostante il 93% delle malattie che affliggono il mondo si concentri nei paesi a basso reddito, dove vive l'84% della popolazione mondiale, solo il 10% del PIL mondiale viene speso in tali paesi per la salute. Il restante 90% viene speso nei paesi ricchi. Questa inversione tra bisogno e spesa (i dati provengono dalla Banca Mondiale) ha il nome significativo di "legge dell'inverso dell'assistenza". Occorre segnalare inoltre che la situazione è ancora più drammatica per le donne, che sono oggetto nei paesi poveri di una vera e propria discriminazione rispetto agli uomini nelle cure, nell'alimentazione e nell'accesso alle scarse risorse sanitarie. All'origine di tale squilibrio sembra ben individuato il principio del "razionamento inverso", che tende a favorire la produzione di supporti sanitari non in ragione del bisogno - come abbiamo avviene nelle prospettive della sanità nei paesi sviluppati - ma in ragione della richiesta del mercato. Ne consegue che le industrie attive nella produzione di beni sanitari privilegiano la produzione di supporti, ad esempio, necessari per il trattamento delle patologie croniche e degli anziani rispetto alla produzione, su scala altrettanto vasta, di farmaci contro le malattie tropicali.

Il problema riguarda anche la ricerca. Infatti gli investimenti necessari per la messa a punto di un farmaco anti-malarico non sembrano destinati a produrre utili paragonabili a quelli ottenibili scoprendo un farmaco anti-ipertensivo o un anoressizzante di accertata innocuità. Anche i medici si addensano maggiormente nei paesi ricchi (2,5 medici per mille abitanti), dove di loro c'è minore bisogno, mentre nei paesi poveri, per i costi di formazione e per gli stipendi troppo elevati, la percentuale è di 0,4 medici per mille abitanti. Il principio dell'equità, in questa drammatica dimensione planetaria, presuppone in primo luogo l'abbandono del criterio geografico come limite entro il quale realizzare le politiche di ampliamento della giustizia nell'attuazione di politiche di allocazione delle risorse per la salute. I principi etici di riferimento, infatti, non sono in alcun modo legati alla dimensione territoriale. E' in gioco, infatti, il pari accesso alle cure sanitarie sulla base di pari bisogni (senza tener conto di fattori personali quali età, ruolo sociale, ecc.). Si tratta di un principio cardine di molti servizi sanitari dei paesi sviluppati.

La stessa responsabilità morale che ci induce, all'interno dei nostri confini nazionali, ad adoperarci perché questo principio sia affermato, non può essere limitata in alcun modo dalla definizione di un confine geografico. Sono sotto i nostri occhi i risultati della mancanza di iniziative concrete di ridistribuzione delle risorse, di intervento politico diretto e transnazionale: il fenomeno non arginabile dell'emigrazione in massa dai paesi poveri può accentuarsi, ulteriormente, sino a sconvolgere il futuro dei paesi ricchi. Al tempo stesso la globalizzazione non implica solo opportunità economiche, ma anche doveri e rischi. Non è lontana dalla realtà un prospettiva in cui, con lo spostamento di masse di diseredati, si diffondano di nuovo malattie attualmente debellate nel quadrante nordoccidentale del mondo, rese più minacciose dall'irrazionale utilizzo di antibiotici, altra distorsione consumistica tipica dei paesi ricchi, che sono ormai in grado di selezionare un numero crescente di ceppi microbici resistenti. Non è la paura di essere "invasi" dalla miseria a doverci rendere attivi, naturalmente. Alle considerazioni etiche già esposte, va aggiunta in conclusione, un'ulteriore valutazione riguardo l'argomento dell'impossibilità di rimediare a disequità così ampie. Esso non è alla prova dei fatti, difendibile. E' infatti dimostrato che i primi risultati significativi (anche solo la riduzione della mortalità infantile attraverso la semplice distribuzione di confezioni idrosaline come rimedio immediato alla disidratazione diarroica dei bambini), sono raggiungibili e non utopici. Per raggiungere l'obiettivo della riduzione della mortalità è sufficiente spesso la diffusione di cure elementari, una migliore educazione delle madri alla cura dei bambini, l'acquisizione di misure igieniche, ed una migliore alimentazione. Da questo punto di vista, nessun intervento sanitario eguaglia la prevenzione nella capacità di raggiungere successi importanti in tempi estremamente ridotti, che quindi assume un valore etico ed una efficacia pratica indiscutibili.

Sintesi e raccomandazioni

1. Questo documento ha cercato di individuare, come il titolo suggerisce, non tanto i molteplici problemi bioetici che la Medicina prospetta - i quali sono accennati nel corso dell'analisi proposta e sono inoltre oggetto di altri documenti del Comitato Nazionale per la Bioetica (quali ad esempio Bioetica e formazione del personale sanitario del 7 settembre 1991, Informazione e consenso all'atto medico del 20 giugno 1992, Etica, sistema sanitario e risorse del 17 luglio 1998) - quanto piuttosto il nodo bioetico centrale costituito dagli scopi della medicina. Tale questione implica l'identificazione della natura, dei costi individuali e collettivi e dell'estensione del consenso sociale che la collettività concede alla medicina, il quale si adegua alle informazioni sui problemi che la medicina incontra nella sua evoluzione. E' questo senza dubbio il tema di rilevanza cruciale che si proietta nell'immediato futuro ed ancor più nel futuro lontano. Infatti le scelte che quotidianamente si prospettano ai singoli pazienti, e che essi hanno l'opportunità - in taluni casi perfino il dovere etico, di accettare - e quelle che si impongono, per l'oggi ed il domani, alla società intera in termini di sacrificio di risorse sempre più rilevanti e di costi umani legati ai danni iatrogeni prodotti dalle cause più diverse connesse ai trattamenti medico-chirurgici, rappresentano una questione complessa e di enorme difficoltà nella quale tutti i cittadini devono essere coinvolti. Un primo aspetto della questione è certamente rappresentato, come accennato, dal definire gli scopi che la medicina deve perseguire, ed in particolare dal contrasto tra una concezione universalistica di tali scopi e una concezione che pone in primo piano le differenze che caratterizzano le diverse culture anche nella concezione della salute e della cura delle malattie. Tale conflitto tra diverse concezioni della medicina fa emergere con chiarezza l'ulteriore questione che si propone nello stabilire se la medicina possa definire i propri scopi in base alla sua storia, alla sua etica, e alla sua evoluzione scientifica -e quindi in un certo senso dal proprio interno - o se debba piuttosto accettare che essi vengano stabiliti dall'esterno, lasciando tale compito alla società. Il Comitato Nazionale per la Bioetica raccomanda, in luogo della contrapposizione, la ricerca di un dialogo continuo della medicina con la società al fine di rendere la medicina consapevole del ruolo sociale che svolge, destinato a divenire sempre più importante, e i cittadini, in primo luogo i malati, informati e consapevoli delle possibilità ma anche dei rischi che sono intrinsecamente connessi al suo sviluppo. L'evoluzione medica infatti non concerne solo i mezzi ma anche e in primo luogo gli scopi della medicina che devono essere sottoposti ad un processo di definizione e ridefinizione continua in ragione dei beni e dei valori umani implicati. Va in ogni caso ribadito che tale evoluzione non può modificare la vocazione etica della medicina alla cura della salute e al sollievo della sofferenza, se non a rischio di rendere tale sapere un insieme di conoscenze e di tecniche dal valore solo strumentale.

2. La medicina ha indubbiamente delle caratteristiche peculiari che la distinguono da tutte le altre attività umane. Per restare nell'ambito dell'analisi bioetica, si può in primo luogo osservare che il suo fine principale, costituito dalla difesa di un bene primario quale è la salute, conferisce a chi esercita la Medicina un potere straordinario, derivante non solo dalla sua capacità di determinare in molte circostanze la differenza tra la vita e la morte, tra l'invalidità e la pienezza delle funzioni, tra la sofferenza e il benessere, ma anche dalla posizione di debolezza e sudditanza psicologica in cui si trova l'infermo. Essa è inoltre un'attività - insieme scientifica e professionale - che richiede una competenza teorica e pratica altamente specializzata, che si consegue attraverso studi ed apprendistati lunghi ed impegnativi, ed è pertanto riservata a pochi. Di conseguenza, chi la esercita tende a chiudersi nel proprio ambito, ad usare un linguaggio non facilmente comprensibile agli altri e talora, purtroppo, a difendere interessi particolari, che possono non coincidere con quelli del paziente e della collettività. Situazioni analoghe possono inoltre verificarsi in altre attività appartenenti all'area medica quali ad esempio la produzione, la distribuzione e il controllo dei farmaci, l'informazione al pubblico, l'insegnamento, la ricerca scientifica. A tali considerazioni di ordine fattuale si aggiunge infine una constatazione di carattere epistemologico. La malattia è un fenomeno fluido e complesso, spesso non riconducibile a schemi predefinibili e si presta, di conseguenza, a valutazioni soggettive a causa dell'individualità del malato e delle specifiche caratteristiche con cui la malattia si manifesta. Inoltre occorre tenere conto del fatto che il medesimo risultato terapeutico può essere conseguito con procedure tra loro diverse , talvolta anche in modo radicale. Non è facile, di conseguenza, separare il certo dall'incerto, le procedure convalidate, riconducibili ad uno standard fisso, da quelle che il singolo terapeuta deve stabilire caso per caso, secondo la formula condivisibile ma generica dell'agire secondo "scienza e coscienza". In conclusione va osservato che l'attuale statuto scientifico della medicina è connotato, rispetto al passato, da una episteme incentrata sulla cosiddetta "scoperta della complessità", una complessità derivante paradossalmente proprio dalle certezze che lo sviluppo della tecnologia applicata alla medicina ha reso possibili. Si tratta di una scoperta appartenente originariamente alla filosofia ed alla fisica e che ha prodotto la consapevolezza del fatto che "il mondo", nel suo insieme, non è lineare, bensì irregolare, variabile, instabile, precario ed incerto, in breve complesso. In tale contesto, il CNB sottolinea l'importanza di promuovere una maggiore consapevolezza circa la complessità dei fenomeni di cui la medicina si occupa e dell'ineludibile quota di empirismo che caratterizza una scienza in continua evoluzione, al fine di evitare per un verso attese miracolistiche che possono divenire occasione per vere e proprie frodi, o per l'altro altrettanto acritiche posizioni antiscientifiche che generano una generica diffidenza nei confronti della medicina.

3. Quanto detto sinora evidenzia il ruolo che la medicina riveste nella società contemporanea il quale comporta, per i medici, oltre a una responsabilità professionale connaturata alle loro specifiche conoscenze e competenze, anche il dovere di operare una costante autoriflessione sui propri fondamenti e metodi da tradurre in una autoregolazione che deve essere attuata pubblicamente al fine di rinnovare di continuo la richiesta di consenso sociale informato. Le esigenze di salute dei cittadini, infatti, e di conseguenza le richieste esplicite, o le aspettative implicite, che essi rivolgono alla medicina sono di grado sempre più elevato. Tali considerazioni permettono forse di spiegare, sia pure solo in parte, lo spostamento - che si è realizzato in questi ultimi anni all'interno del rapporto tra medico e paziente - dell'ago della bilancia in favore del paziente cui è stato dato il massimo rilievo possibile e compatibile con le diverse situazioni che si realizzano nella vita quotidiana. Questo movimento culturale, accolto in Italia anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, sottolinea la priorità dell'autonomia dei pazienti. Tuttavia, come non di rado avviene, principi in sé validi, vengono estremizzati in modi spesso incompatibili con realtà di fatto insuperabili. Recenti posizioni dottrinali ne prendono atto e prospettano pragmatiche prese di distanza da teorizzazioni che appaiono spesso difficilmente conciliabili con la realtà operativa delle prestazioni mediche. La discussione critica riguarda in particolare il valore della medicina basata sulle prove dell'evidenza e dell'autonomia del paziente poste a confronto con il dovere tecnico-professionale e la responsabilità ineludibile della scelta che gravano sul medico. La responsabilità della scelta caso per caso, a ben riflettere, si riconnette ad un tipo tradizionale di medicina. Essa richiama l'importanza di una realistica e responsabile scelta di ciò che è conveniente e ragionevole per il malato in luogo di limitarsi all'applicazione di modelli teorici standardizzati. In questa aggiornata prospettiva l'esigenza della "evidenza" non è rifiutata, ma è respinta la pretesa di impiegarla come regola universale in qualsiasi situazione e per qualsiasi paziente, così come la pretesa di guidare la scelta del medico prevalentemente sulla base delle conoscenze statistiche, marginalizzando le sue conoscenze personali e le sue esperienze professionali. E' ritenuto dunque doveroso superare le "false evidenze" che non corrispondono a certezze bensì a gradi di probabilità spesso smentiti da tanti "controffattuali" che si riscontrano nella realtà del malato. Tale concezione definita come la "medicina della scelta" considera la medicina sia come "scienza" che spiega la malattia, sia come metascienza, che spiega gli atti che compie. La medicina della scelta, alla quale deve essere dedicata -nell'attuale fase di riflessione e di riequilibrio del rapporto medico-paziente - adeguata attenzione, è caratterizzata in sostanza dal riconoscere la pluralità delle conoscenze e la libertà del medico di scegliere (con abilità, prudenza, ed intelligenza pratica) le più adatte e convenienti rispetto non a modelli convenzionali di malattia e di malati, ma a malati reali nelle loro situazioni contingenti, mediche ed umane. La medicina della scelta è, quindi, una medicina della responsabilità. Per quanto concerne più in particolare il rapporto medico paziente, questo deve tradursi in una esplicita distinzione tra il riconoscimento del valore etico dell'autonomia del paziente e la consapevolezza della circostanze concrete in cui il medico si trova ad operare. Da questo punto di vista lo squilibrio tra medico e paziente, sul piano pratico, non può essere del tutto eliminato anche se è certamente doveroso da parte del medico ridurre il più possibile tale asimmetria. Pur nell'evoluzione concettuale dei codici deontologici, l'etica medica mostra tuttora di aderire a principi che da sempre ispirano la prassi della maggioranza dei medici onesti, la quale è basata fondamentalmente sulla beneficence in trust. Essa concepisce la salute come bene relazionale "obiettivo di entrambi, paziente e curante" che si pongono in un rapporto di fiducia reciproca in cui perseguono l'interesse maggiore, quello della salute e realizza il necessario equilibrio tra l'autonomia del paziente e la responsabilità del medico configurando la cosiddetta alleanza terapeutica. In questa prospettiva l'autonomia del paziente deve essere tutelata anche e soprattutto, attraverso la consapevolezza della natura del rapporto che quest'ultimo instaura con il medico curante, in particolare riguardo all'obiettivo intrinseco di tale rapporto, la salute. Qualora il perseguimento della salute contrasti con altri valori o interessi del paziente e sia necessario operare una scelta sulla quale non si realizza l'accordo con il medico, il paziente può rifiutare la cura ed interrompere il rapporto terapeutico. Non è comunque possibile esigere dal medico di operare contrariamente a quanto ritiene essere, in base alle sue conoscenze e alla sua esperienza clinica, il miglior interesse del paziente.

4. L'innegabile responsabilità di cui si è trattato può giungere, e purtroppo spesso giunge, ad essere richiamata anche nei suoi aspetti giuridici penali e civili. Spetta alla società intera, informata in modo adeguato, oggettivo e critico, una parte rilevante della responsabilità di operare delle scelte e di stabilire sostegni diversificati, secondo progetti globali cui la medicina deve per quanto possibile adeguarsi con rispetto ed umiltà. Questa progettualità deve considerare piani di diversa rilevanza, tra loro strettamente interrelati, ma suscettibili di essere collocati con un ordine di priorità. L'obiettivo primario, che deve essere privilegiato collocandolo sul piano delle priorità assolute, è certamente quello dell'assistenza quotidiana, di breve e di lungo periodo, ai pazienti ai quali i progrediti mezzi di diagnosi e cura consentono la possibilità di guarire del tutto la malattia o perlomeno una soluzione sia pure parziale della sofferenza ed il bisogno rendendoli tollerabili. La tendenza, umanamente comprensibile, a dedicare maggiore attenzione alla medicina, e soprattutto alla chirurgia, che appartengono ad una area che può essere definita "di frontiera", induce spesso a trascurare le esigenze quotidiane, di frequente drammatiche, della maggioranza dei pazienti per i quali le soluzioni mediche adeguate consistono principalmente nell'efficienza dell'organizzazione sanitaria, articolata e interconnessa su tutto il territorio e resa accessibile in uguale misura a tutte le classi sociali. Su scala mondiale tale principio di equità pone ai paesi ad economia avanzata il grave problema morale della loro colpevole disattenzione se non addirittura dello sfruttamento in forme indirette delle vaste aree meno sviluppate del mondo, che abbiamo esemplificato al capitolo n.12. Ne consegue, in breve, che è giustificato porre la massima attenzione al proficuo e massimo sfruttamento dei mezzi già attualmente in possesso della medicina tanto da far concludere che di fronte ai limiti delle risorse disponibili il loro investimento in questi scopi primari della medicina debba essere preteso come un bene irrinunciabile. Lo scopo assistenziale globale della medicina deve essere dunque continuamente riportato all'attenzione centrale della collettività come problema etico primario. Su questo punto il Comitato Nazionale per la Bioetica ribadisce la propria posizione in sostegno di politiche sanitarie fondate sul principio di solidarietà e di equità, recentemente espressa nel documento dedicato all'equità (Orientamenti bioetici per l'equità nella salute, 25 maggio 2001).

5. Quanto detto sinora non contrasta con lo sviluppo delle conoscenze, della farmacologia, delle tecniche e degli strumenti di diagnosi e cura. La lotta contro la malattia richiede infatti un impegno continuo nella ricerca cui molti paesi dedicano risorse pubbliche e private. La moderna medicina scientifica infatti non può più permettersi di operare, come nel lontano passato, attraverso tentativi irragionevoli e temerari che hanno sicuramente prodotto numerose vittime, e che possono ancora produrne, a causa di malattie e effetti iatrogeni. La sperimentazione è dunque necessaria e l'applicazione pratica sull'uomo di metodi sperimentati sull'animale è un passaggio obbligatorio. E' infatti la verifica dell'efficacia, ma anche degli insuccessi, o purtroppo dei danni, che permette di valutare concretamente la validità di nuove conoscenze scientifiche e del metodo adottato per conseguirle nonché, soprattutto, l'utilità nell'applicazione pratica in un favorevole rapporto benefici/costi. Da questo punto di vista assume particolare rilevanza l'informazione del paziente ai fini di giungere ad un consenso libero e consapevole, mentre invece non sempre i rischi dei nuovi metodi sono adeguatamente rappresentati ai pazienti i quali, nella speranza della guarigione o addirittura della salvezza, accettano di diventare oggetto di quella che è di fatto una sperimentazione, nel senso più autentico. La sperimentazione infatti è connessa allo stesso carattere empirico della medicina ed investe perciò molta parte della prassi medica sia storicamente che allo stato attuale della conoscenze. In questo senso è opportuno chiarire che accanto alla sperimentazione sull'uomo diretta ad un fine specifico o propriamente detta, esiste una sperimentazione di fatto che avendo un fine non specifico è di più vasta portata e i cui confini non sono agevolmente disegnabili. Essa è la conseguenza del dinamismo applicativo di innovative proposte diagnostiche e terapeutiche di continuo introdotte nella professione medica. Oltre a richiamare i principi di buona pratica clinica, espressi da numerosi documenti nazionali e internazionali, l'ultimo è più importante dei quali è certamente la Direttiva n.20/2001, ed oggetto di approfondita analisi dal parte del Comitato Nazionale per la (vedi ad esempio il Parere sul protocollo del Comitato di bioetica del Consiglio d'Europa sulla ricerca biomedica, 19 novembre 1999) è doveroso quindi sottolineare la necessità di informare l'opinione pubblica che il progresso medico passa inevitabilmente attraverso fasi sperimentali sull'uomo: al fine di una consapevole accettazione del rischio e più in generale dell'empirismo, inteso come apertura a ciò che non è ancora conosciuto, che è parte dello stesso progresso della medicina.

6. E' problema bioetico rilevante, a questo proposito, l'identificazione dei confini eticamente accettabili delle prestazioni mediche e del loro sviluppo, anche in considerazione del fatto che la distinzione tra "atto medico" e "trattamento terapeutico" in senso stretto è ormai sempre più sfumata, come risulta evidente, per esempio, dalla diffusione della chirurgia estetica. Ciò non deve far dimenticare che tali prestazioni sono gravate da rischi di complicanze, talora anche serie, le cui conseguenze ricadono direttamente sul danneggiato, ma indirettamente anche sul medico. Il problema di stabilire il rapporto tra finalità/benefici/rischi resta quindi anche in questo caso di rilevante dimensione bioetica. In questo quadro la discussione sul presunto tramonto della medicina ippocratica a seguito dell'avvento della medicina moderna, risulta sterile se non ci si avvale di un ampio orizzonte etico e se non viene inserita nel più vasto dibattito che, pur non nuovo, si è notevolmente accentuato nella seconda metà del secolo ventesimo, sui "limiti dello sviluppo". Tale dibattito è sorto intorno agli inizi degli anni '70 in concomitanza non casuale con la nascita della Bioetica con cui condivide l'obiettivo di difendere l'umanità ed esso oggi conserva tutta la sua importanza. L'enucleazione dei valori da rispettare, molti dei quali contenuti nei testi ippocratici, ma principalmente nel giuramento di Ippocrate, consente di individuare principi tuttora contemplati nei codici di deontologia medica di tutto il mondo, anche se essi sono stati approfonditi, ulteriormente specificati ed estesi in base agli sviluppi della cultura scientifica medica. L'impegno ippocratico "prescriverò agli infermi la cura più appropriata per quanto mi sarà permesso dalle mie cognizioni", rappresenta ancora oggi uno scopo della medicina il quale, nella situazione attuale si arricchisce di un criterio fondamentale, peraltro non sempre facile da applicare: quello di "attenersi alle conoscenze scientifiche" (come previsto dall'art. 5 dell'attuale Codice di Deontologia Medica italiano) e di fornire prescrizioni e trattamenti che "devono essere ispirati ad aggiornate e sperimentate acquisizioni scientifiche anche al fine dell'uso appropriato delle risorse, sempre perseguendo il beneficio del paziente" (art.12). Il medico, infatti, "è tenuto a una adeguata conoscenza della natura e degli effetti dei farmaci, delle loro indicazioni, controindicazioni, interazioni e delle prevedibili reazioni individuali, nonché delle caratteristiche di impiego dei mezzi diagnostico e terapeutici e deve adeguare, nell'interesse del paziente, le sue decisioni ai dati scientifici accreditati e alle evidenze metodologicamente fondate". L'art. 12 stabilisce ancora che "Sono vietate l'adozione e la diffusione di terapie e di presidi diagnostici non provati scientificamente o non supportati da adeguata sperimentazione e documentazione clinico-scientifica, nonché di terapie segrete. In nessun caso il medico dovrà accedere a richieste del paziente in contrasto con i principi di scienza e coscienza allo scopo di compiacerlo, sottraendolo alle sperimentate ed efficaci cure disponibili". Viceversa, le cosiddette medicine alternative si collocano nella demarcazione tra scienza e non scienza sul versante opposto alla medicina scientifica. Tuttavia in considerazione della loro diffusione e del fatto che le terapie e i farmaci che ne derivano sono prescritte in misura rilevante anche da medici professionisti, il Comitato Nazionale per la Bioetica propone alla valutazione dell'opinione pubblica, e quindi dei legislatori, una doverosa riflessione sulle scelte di indirizzo tra l'accettazione di tali pratiche in ragione del rispetto della libertà di cura nonostante i frequenti rischi di mistificazione e di inganno; e la loro diretta verifica attraverso analisi approfondite ed oggettive e ulteriori prove sperimentali alle quali far seguire, sulla base dei risultati raggiunti, un'ampia informazione pubblica in forma ufficiale e nelle sedi accreditate. In tale processo l'analisi bioetica deve assumersi il compito di riflettere criticamente e sui confini tra medicina scientifica e altre pratiche mediche come anche sulle reali possibilità ma anche sui limiti della stessa medicina scientifica.

7. Gli insuccessi e dei danni della medicina costituiscono spesso l'aspetto più vistoso della prassi medica agli occhi dell'opinione pubblica, e generano reazioni collettive, eespresse ed amplificate nei mezzi mediatici, conseguenze di ordine giudiziario, varie conseguenze di danno individuali. Si tratta di una questione che occorre affrontare adottando soluzioni che se da un lato devono passare attraverso la prevenzione - richiesta a gran voce dalle compagnie di assicurazione ed intesa come migliore efficienza delle strutture sanitarie - dall'altro implicano in qualche misura risarcimenti, in caso di colpa, o quantomeno indennizzi, in caso di danno senza colpa dimostrabile. Tali soluzioni, per la cui progettazione e realizzazione è necessaria una competenza specifica, pongono in primo piano ancora una volta l'informazione dell'opinione pubblica. La determinazione e la realizzazione di tutti gli obiettivi che abbiamo sinora illustrato implicano un profondo coinvolgimento del corpo sociale, e rendono dunque necessaria l'informazione rivolta a tutti i cittadini, sulla natura, le possibilità, i limiti ed i rischi della medicina come scienza e come pratica. Questa consapevolezza può essere raggiunta adeguatamente solo attraverso una informazione trasparente, in grado di superare le remore suggerite dal timore di turbare l'opinione pubblica con notizie sgradevoli o deludenti, che ingenerano paura. Solo in un contesto di trasparenza autentica è infatti possibile invocare soluzioni normative al fine di gestire sul piano giuridico la quota inevitabile di dannosità della medicina. Il CNB si propone in futuro di approfondire il problema bioetico della responsabilità sanitaria, il quale ha raggiunto livelli di notevole gravità e rilevanza sociale.

8. In conclusione si può affermare che buona parte delle complesse questioni esaminate nelle pagine precedenti è da ritenersi racchiusa all'interno del problema etico centrale costituito dalle garanzie che il sistema sanitario considerato nel suo insieme, pubblico e privato, deve fornire ai cittadini. Il rigoroso regime di monopolio concesso agli esercenti le professioni sanitarie e la quota rilevante del reddito nazionale destinata annualmente al funzionamento del sistema sanitario, implicano il diritto dei cittadini di usufruire di una medicina di elevata affidabilità ed efficienza. Ne consegue che la qualità professionale dei medici e dei vari diplomati oggi previsti dall'istruzione universitaria, e la qualità delle strutture sanitarie, sono da considerarsi il presupposto etico essenziale per corrispondere ad attese del tutto giustificate e per realizzare, nel contempo, la riduzione dei rischi di insuccesso e di danno iatrogeno e l'attenuazione dei conflitti. Questi obiettivi, allo stato attuale, sono raggiunti in misura incompleta e spesso insoddisfacente, non solo in Italia. L'insoddisfazione induce a risalire alle sue cause che sono riconducibili alla preparazione universitaria e post-universitaria di qualità non omogenea e non di rado lassista. La preparazione dei sanitari, da selezionare tra i migliori secondo criteri rigorosi, è spesso carente, mentre il conseguimento dei titoli indispensabili all'abilitazione professionale ed all'iscrizione è possibile di fatto anche a studenti che non corrispondono agli elevati standard che la complessità attuale della medicina richiede. Ciò ingenera la prassi, non condivisibile, di "correggere" gli errori nella selezione e formazione dei professionisti sanitari a valle -ovvero dopo che si sono verificati danni per i pazienti - attraverso lo strumento improprio dei processi penali e civili, che dovrebbe avere carattere eccezionale e non ordinario come oggi invece avviene. Va osservato inoltre che le riforme della preparazione universitaria e post-universitaria negli ultimi decenni non hanno consentito di regolare il numero e la qualità dei sanitari in misura adeguata alle esigenze della medicina attuale. I risultati ottenuti da questi tentativi non appaiono sufficienti e si ripropone dunque la necessità, insieme etica e pratica, di affrontare nuovamente la questione della formazione con il massimo rigore poiché sull'interesse personale dei candidati a svolgere le professioni sanitarie deve prevalere l'interesse prioritario della società di concedere in esclusiva l'esercizio di una professione dedita alla protezione di un bene primario, quale quello della salute, esclusivamente a coloro che risultino di provata competenza (sia nelle fasi iniziali della loro attività che in quelle successive che richiedono un aggiornamento costante). Alla questione il Comitato Nazionale per la Bioetica ha dedicato uno specifico documento (Bioetica e formazione nel sistema sanitario del 7 settembre 1991) e più recentemente un protocollo di intesa con il Ministero della Sanità diretto alla formazione bioetica per personale sanitario. In questa sede il CNB ribadisce l'importanza fondamentale che la formazione del personale sanitario riveste nel contesto attuale, sottolineando in particolare la necessità che tale formazione sia di carattere etico e deontologico oltre che tecnico scientifico, al fine di far fronte alla complessità della malattia, ma prima ancora di considerare e trattare il malato tenendo conto della sua dimensione personale umana oltre che clinica.

www.governo.it/bioetica/testi/141201.html

Dall'analisi di queste esperienze internazionali deriva, da un lato, la consapevolezza del peso che le valutazioni etiche sono chiamate ad avere nella definizione dei criteri di razionamento delle risorse. Appare inoltre evidente il tentativo di distinguere, e di porre in secondo piano, gli interventi inscrivibili nell'ambito della cosiddetta "medicina dei desideri" rispetto alle prestazioni che tendono a ripristinare la salute che preesisteva ad un evento patologico. Si evidenzia, infine, tutta la difficoltà insita in operazioni di questo genere, finalizzate cioè a selezionare le prestazioni più importanti per definirne la finanziabilità. In ciò sembra avere ragione chi, come il filosofo Engelhardt jr., sostiene che è impossibile conciliare contenimento dei costi, qualità delle cure, equità nell'accesso ai servizi e libertà di scelta. Ma se l'obiettivo non è la perfezione bensì la perfettibilità del sistema di erogazione dell'assistenza, possiamo senz'altro individuare criteri utili ad avvicinare l'obiettivo di una sanità che soddisfi quanto più possibile la richiesta della società senza soccombere di fronte ai costi: l'adeguatezza dei mezzi tecnici utilizzati, in primo luogo, e il loro uso più appropriato; la valorizzazione delle risorse umane, sia in termini di aggiornamento per gli operatori, che di valorizzazione dei gruppi, attraverso l'incentivazione del volontariato ma anche attraverso l'organizzazione della solidarietà, risorsa potenzialmente enorme ma troppo spesso dissipata per mille rivoli; l'arricchimento delle finalità operative dei servizi sanitari, non più unicamente destinata alla produzione di prestazioni diagnostico-terapeutiche, ma anche impegnati in una funzione di veicolo di una vera e propria cultura della salute, in modo che la "produzione" della salute sia conseguibile attraverso la realizzazione di comportamenti corretti da parte della popolazione; la realizzazione di politiche sociali che intervengano sui determinanti di malattia riferibili a emarginazione, solitudine, povertà. La prevenzione, intesa nel suo significato più ampio, attuata cioè in tutti e tre i suoi livelli di intervento (etiologica, patogenetica, riabilitativa), può rappresentare una soluzione significativa per i problemi che affliggeranno la medicina del futuro e il suo rapporto con la società. Indubbiamente la prevenzione primaria e secondaria, mentre diminuisce i costi correlati all'insorgenza di molte malattie o al decorso più grave di altre nelle varie età, consente anche una più lunga sopravvivenza aumentando così il numero degli anziani ed i costi connessi dell'assistenza geriatrica. D'altro canto la positività della prevenzione permane comunque ed è indiscutibile perché evita i cosiddetti costi impalpabili (le sofferenze) e consente benefici in salute che sono un bene primario. Essendo ormai inevitabile un futuro delle società sviluppate in cui crescerà ulteriormente la percentuale degli anziani nella popolazione, tutte le iniziative politiche, culturali e sociali utili al recupero del ruolo dell'anziano nella collettività meritano di essere collocate nell'area delle priorità indiscusse. Si tratta di un impegno che può produrre riflessi benefici anche nell'ambito sanitario, allentando la pressione delle condizioni psico-somatiche legate alla solitudine e all'emarginazione degli anziani, mentre è anche da rilevare l'importanza di un impegno mirato alla prevenzione riabilitativa, con interventi atti a ridurre i tempi di inabilità della vecchiaia ed i livelli di non autosufficienza.

Esiste anche l'importante capitolo che riguarda il ruolo che la prevenzione può rivestire, attraverso lo strumento della educazione alla salute, per l'identificazione dei bisogni sanitari reali e l'implementazione nella popolazione dei comportamenti "salutogeni", con contrazione della domanda e razionalizzazione della gestione delle risorse. A questo riguardo, giova rilevare che i programmi di educazione alla salute basati sul coinvolgimento della popolazione e sulla adesione volontaria ottengono risultati migliori di quelli basati sull'atteggiamento impositivo (o addirittura sulla sola normazione) così come sui flussi unidirezionali. Si può quindi osservare, con interesse, all'evoluzione etica in senso partecipativo dei principi che informano i programmi di educazione alla salute, con parallelo miglioramento dei risultati dei programmi stessi.

11. Limiti e rischi della medicina scientifica

Il "patto" tra medicina e società rischia di essere messo in crisi dall'insufficiente informazione ai cittadini circa i limiti e i rischi della medicina scientifica. La società potrebbe accettare di mettere in discussione la "legittimità" delle proprie richieste, attualmente sempre più estese ed esigenti e contrarre la domanda condividendo il razionamento delle risorse e le priorità, ma a condizione che sia adeguatamente informata della natura peculiare della medicina, del suo carattere imperfetto, della sua intrinseca rischiosità. E' questa una informazione per ora assente ed anzi sostituita da attese spesso irragionevoli. Negli Stati Uniti, così come in Gran Bretagna, sulla scorta dei dati desunti dagli errori in medicina, è in piena evoluzione un dibattito che porterà a rendere più severa la valutazione della qualità professionale degli operatori sanitari attraverso veri e propri esami periodici di idoneità. Ma se la capacità e l'aggiornamento degli operatori della salute rappresentano un caposaldo delle condizioni di base per il nuovo patto tra società e medicina, lo stesso deve essere affermato - a maggior ragione, se possibile - per il livello di conoscenza che è a monte della prestazione. Anche il più aggiornato dei medici, infatti, non può evitare l'errore e tanto meno l'insuccesso - connaturati ad una professione a rischio, se gli strumenti del suo aggiornamento (in primo luogo la sperimentazione clinica e la letteratura scientifica) non tengono conto di ciò che veramente è utile al paziente, di ciò che non lo è, e di ciò che è francamente dannoso. A tale riguardo, invece, non sono stati registrati, purtroppo, i progressi sperati, nonostante i primi lavori di A. Cochrane circa la medicina basata sulle prove di efficacia siano noti da tempo. Si tratta di un problema che investe l'intera società. Anche la popolazione subisce infatti le conseguenze di una costante disinformazione, che avviene attraverso l'enfatizzazione spesso acritica dei benefici di una medicina della quale non si evidenziano a sufficienza rischi, effetti indesiderati, incertezze, inutilità, eventuale dannosità. Tra i tanti esempi che si potrebbero proporre ci si limita a segnalare il complesso del consumo dei farmaci e degli effetti collaterali ad essi connessi. I farmaci attualmente in commercio ammontano a diverse migliaia, per tutti la commercializzazione è preceduta da sperimentazioni adeguate, ma il numero e la qualità degli effetti dannosi collaterali, talora gravi, pur essendo menzionati nei fogli illustrativi che sono obbligatoriamente allegati alle specialità, non sono di per sé in grado di essere compresi dai pazienti: sia a causa della terminologia usata sia perché non è immaginabile che il medico curante possa spiegarne in dettaglio la natura e la rischiosità. Si aggiunga che tra gli stati membri dell'Unione Europea sussistono significative differenze e gravi incongruenze delle norme che governano le attività e le politiche in tema di regolazione e commercializzazione dei farmaci.
 
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