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Carceri e diritti dei detenuti: il caso Torreggiani e le riforme strutturali in Italia

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TOPIC_ICON7  view post Posted on 26/3/2015, 16:33
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Carceri e diritti dei detenuti: il caso Torreggiani e le riforme strutturali in Italia



Premessa

In questi giorni, in prossimità delle scadenze imposte dalla Corte Europea di Strasburgo, il dibattito politico italiano è tornato ad affrontare il tema del sovraffollamento delle carceri e delle condizioni dei detenuti. Infatti, in data 19 Febbraio 2014, Palazzo Madama ha convertito definitivamente in legge il decreto n. 146 del 23 Dicembre 2013, recante misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria. L’approvazione del provvedimento in questione, il cosiddetto “decreto svuota carceri”, rappresenta l’ultimo atto di un complesso iter legislativo e politico, volto a rispettare e ad uniformarsi alle recenti statuizioni della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Il monito della Corte Europea nella sentenza Torreggiani e altri c. Italia

Come è noto, d’altronde, la sentenza della Corte di Strasburgo, emessa l’8 Gennaio 2013, nel caso Torreggiani e altri c. Italia, dichiarava la violazione da parte del nostro Paese dell’articolo 3 della Convenzione che stabilisce il divieto di tortura, pene o trattamenti inumani o degradanti, stabilendo un termine della durata di un anno per porre rimedio alla suddetta violazione. La sentenza in esame non si limita a prevedere una condanna per l’Italia alla luce del caso concreto, ma accerta l’esistenza di carenze strutturali nell’ambito del sistema penitenziario dell’ordinamento italiano. Infatti, la Corte ha dichiarato che “lo Stato convenuto dovrà, entro un anno a decorrere dalla data


in cui la presente sentenza sarà divenuta definitiva in virtù dell'articolo 44 § 2 della Convenzione, istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni effettivi idonei ad offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario, e ciò conformemente ai principi della Convenzione come stabiliti nella giurisprudenza della Corte”.

In questo procedimento, il giudice europeo si è avvalso della particolare procedura della sentenza pilota, che permette alla Corte di accertare un problema di carattere permanente all’interno dello Stato Contraente della Convenzione e di assegnare a quest’ultimo un termine per porre in essere le iniziative necessarie al fine di eliminare la disfunzione strutturale. La sentenza pilota, quindi, pone un obbligo di risultato in capo allo Stato coinvolto nel procedimento, che viene esortato dalla Corte di Strasburgo a prendere decisioni serie e decise, per far fronte ad una emergenza interna. Il fondamento giuridico della sentenza pilota si riscontra nell’articolo 46 della CEDU, che sottolinea l’impegno delle Alte Parti contraenti a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti.

La sentenza Torreggiani, trae origine da sette ricorsi, presentati da persone detenute nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza, dove scontavano la pena della reclusione. I ricorrenti, detenuti nel carcere di Busto Arstizio, erano costretti ad occupare una cella di 9 metri quadrati, disponendo quindi di un esiguo spazio personale di 3 metri quadrati circa. Inoltre, lamentavano di avere un acceso limitato alla doccia del carcere, a causa della penuria di acqua calda all’interno dell’istituto penitenziario. In modo analogo, i ricorrenti detenuti nel carcere di Piacenza, lamentavano la stessa situazione, in più riportavano la mancanza di luce sufficiente causata dalla barre metalliche apposte alle finestre. Sul punto, è intervenuto il magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia, il quale sostenne che le loro condizioni detentive erano mediocri a causa del sovraffollamento nel carcere di Piacenza e denunciò una violazione del principio della parità di condizioni fra i detenuti, garantito dall'articolo 3 della legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario. Dal ricorso, infatti, emerge come il magistrato di sorveglianza, con ordinanze del 16, 20 e 24 agosto 2010, abbia accolto i reclami del ricorrente e dei suoi co-detenuti, osservando che “gli interessati occupavano delle celle che erano state concepite per un solo detenuto e che, a causa della situazione di sovraffollamento nel carcere di Piacenza, ciascuna cella accoglieva quindi tre persone”. Il magistrato, quindi, verificò che “la quasi totalità delle celle dell'istituto penitenziario aveva una superficie di 9 m² e che nel corso dell'anno 2010, l'istituto aveva ospitato tra le 411 e le 415 persone, mentre era previsto che potesse accogliere 178 detenuti, per una capienza tollerabile di 376 persone”. Il magistrato di sorveglianza, in questa occasione, ha anche evidenziato l’incompatibilità della condizione dei detenuti con i diritti sanciti dall’articolo 3 della Convenzione, richiamando i riferimenti della giurisprudenza europea nel caso Sulejmanovic c. Italia (N. 22635/03,16 Luglio 2009).

In merito alla condizione dei detenuti in carcere, sembra opportuno sottolineare l’attuale disciplina dell’ordinamento penitenziario, che all’articolo 6 della legge n. 354 del 26 Luglio 1975 (La legge sull’ordinamento penitenziario) prevede i seguenti obblighi: “I locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura; aerati, riscaldati ove le condizioni climatiche lo esigono, e dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale. I detti locali devono essere tenuti in buono stato di conservazione e di pulizia. I locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti. Particolare cura è impiegata nella scelta di quei soggetti che sono collocati in camere a più posti. Agli imputati deve essere garantito il pernottamento in camere ad un posto a meno che la situazione particolare dell'istituto non lo consenta. Ciascun detenuto (…) dispone di adeguato corredo per il proprio letto”.

Sembra alquanto evidente come, la situazione dei ricorrenti, nel caso Torreggiani ed altri c. Italia, sia in contrasto con le norme stabilite dalla legge sull’ordinamento penitenziario. D’altronde, le condizioni in cui versavano i ricorrenti del presente procedimento, sono espressione del complesso quadro attuale, che caratterizza la situazione delle carceri in Italia. Infatti, i dati che emergono da quest’ultima pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, mostrano uno scenario allarmante.

Infatti, nel 2010 vi erano 67.961 persone detenute nelle 206 carceri italiane, a fronte di una capienza massima prevista di 45.000 persone, con un conseguente tasso nazionale di sovraffollamento pari del 151%. Alla luce di questo contesto, il Presidente del Consiglio dei Ministri nominò, con ordinanza n. 3861 del 19 marzo 2010, intitolata «Disposizioni urgenti di protezione civile dirette a fronteggiare la situazione di emergenza conseguente all'eccessivo affollamento degli istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale», un Commissario delegato al Ministero della Giustizia incaricato di elaborare un piano di intervento per le carceri («Piano carceri»). Tale piano, al fine di affrontare l’emergenza, prevedeva la costruzione entro la fine del 2012, di 11 nuovi istituti penitenziari e di 20 padiglioni all'interno delle strutture già esistenti, con il risultato finale di 9.150 nuovi posti disponibili e l’assunzione di 2.000 nuovi agenti di polizia penitenziaria.

In seguito, è stata adottata la legge n. 199 del 26 novembre 2010 (c.d. Svuotacarceri), intitolata “Disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori ad un anno”. Sulla base di questo provvedimento, per i condannati a pena detentiva in attesa di esecuzione, la pena non doveva eccedere l’anno, mentre per i condannati a pena detentiva che stavano scontando la pena in carcere, il limite massimo di un anno riguardava la pena residua. In più, tale legge stabiliva che la pena detentiva non superiore a dodici mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, poteva essere eseguita presso l'abitazione del condannato o altro luogo di accoglienza, pubblico o privato, salvo nei casi di delitti particolarmente gravi. Nell’ottica del legislatore, quindi, l’obiettivo principale era quello di evitare che l’intera pena venisse eseguita in carcere, in modo da rimediare provvisoriamente al problema del sovraffollamento nelle carceri.

Purtroppo, i provvedimenti adottati dallo Stato Italiano nel 2010, non hanno contribuito in maniera definitiva alla risoluzione del problema strutturale delle carceri, infatti, i risultati presentati in data 13 Aprile 2012, hanno mostrato un marginale miglioramento del tasso di sovraffollamento, sceso dal 151% al 148%, mentre la percentuale dei detenuti in attesa di essere giudicati è rimasta molto alta: pari al 42%.

La Corte di Strasburgo, alla luce della situazione generale descritta, ha accolto positivamente gli sforzi legislativi intrapresi dall’Italia nel 2010, ma ha osservato che suddetti provvedimenti non sono adeguati a risolvere il problema strutturale del sovraffollamento carcerario, in quanto hanno ad oggetto disposizioni a carattere straordinario e provvisorio. La Corte evidenziava l’importanza della tutela dell’articolo 3 della Convenzione ed esortava lo Stato sia ad incrementare l’uso di misure punitive non privative della libertà, sia a ridurre al minimo il ricorso alla custodia cautelare, in modo da ridurre il numero dei detenuti negli istituti penitenziari. La Corte di Strasburgo, nel rispetto dell’autonomia politica e della sovranità degli Stati Contraenti, si è giustamente astenuta dall’interferire con le scelte di politica penale dell’Italia, ma non ha mancato di sottolineare la necessità di considerare l’introduzione di misure alternative alla detenzione e di ricorrere alla incarcerazione come misura di ultima istanza. Inoltre, punto molto interessante affrontato dalla Corte nella sentenza, riguardava la possibilità di adire il magistrato di sorveglianza ai sensi degli articoli 35 e 69 della legge sull’ordinamento penitenziario. In merito a questa opportunità di reclamo, la Corte riteneva il ricorso accessibile, ma non effettivo nella pratica, “dato che non consente di porre fine rapidamente alla carcerazione in condizioni contrarie all’articolo 3 della Convenzione”. Il giudice europeo sosteneva l’incapacità del Governo italiano nel garantire un ricorso idoneo al fine di consentire ai detenuti di ottenere una qualsiasi forma di riparazione delle violazione subite.

In virtù dei numerosi ricorsi proposti e del carattere strutturale delle cause alla base del sovraffollamento carcerario, nel caso Torreggiani, la Corte di Strasburgo ha ritenuto opportuno optare per la procedura pilota, stabilendo una scadenza annuale entro la quale lo stato italiano deve individuare una soluzione concreta e permanente ad un problema così delicato come quello delle condizioni dei detenuti nelle carceri.

La deadline del prossimo 28 maggio: quale reazione dello Stato Italiano?

Il 28 Maggio scade il termine entro il quale l’Italia deve adeguarsi alle statuizioni della sentenza pilota emessa dalla Corte EDU nel caso Torreggiani l’8 Gennaio 2013. Come esaminato in precedenza, i provvedimenti adottati dallo Stato italiano nel corso del 2010 per fronteggiare il problema del sovraffollamento delle carceri sono stati inadeguati rispetto al grave deficit strutturale dell’intero sistema. In questo contesto ed in virtù dell’approssimarsi del 28 Maggio, il Senato ha convertito definitivamente in legge il decreto svuota carceri 2014, provvedimento molto discusso, proposto dal precedente Governo Letta in seguito al monito di Napolitano dello scorso Ottobre, il quale aveva inviato un messaggio alle Camere per incoraggiare l’adozione di misure efficaci per la risoluzione del problema delle carceri nel nostro Paese.

Infatti, l’attuale quadro del sistema penitenziario italiano presenta diverse problematiche da risolvere. In questo senso, gli studi effettuati dal Consiglio d’Europa e dall’International Centre for Prison Studies sulla situazione dell’affollamento delle carceri in Italia, fanno emergere risultati molto significativi. I dati più importanti riguardano la percentuale di detenuti in attesa di giudizio, pari al 36% al 31/03/2014, a differenza di una media europea del 23,50% e il numero totale della popolazione di detenuti in Italia pari a 60.197, a fronte della minore capacità di 48.309 posti dell’attuale sistema penitenziario.

Alla luce di questi numeri, si è resa necessaria l’approvazione della discussa legge “svuota carceri”. Il presente provvedimento prevede all’articolo 1 un cambiamento importante per quanto concerne l’uso del braccialetto elettronico, che viene disposto obbligatoriamente dal giudice ad eccezione del caso in cui, nella fattispecie concreta, non ne ravveda la necessità.

L’articolo 1 formula le seguenti modifiche al codice di procedura penale:

a) all’articolo 275-bis, comma 1, primo periodo, le parole «se lo ritiene necessario» sono sostituite dalle seguenti parole: «salvo che le ritenga non necessarie». b) all’articolo 678, il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Salvo quanto stabilito dal successivo comma 1-bis, il tribunale di sorveglianza nelle materie di sua competenza, e il magistrato di sorveglianza, nelle materie attinenti ai ricoveri previsti dall’articolo 148 del codice penale, alle misure di sicurezza e alla dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato o di tendenza a delinquere procedono, a richiesta del pubblico ministero, dell’interessato, del difensore o di ufficio, a norma dell’articolo 666. Tuttavia, quando vi è motivo di dubitare dell’identità fisica di una persona, procedono a norma dell’articolo 667 comma 4.»; c) all’articolo 678, dopo il comma 1 è aggiunto il seguente comma: «1-bis. Il magistrato di sorveglianza, nelle materie attinenti alla rateizzazione e alla conversione delle pene pecuniarie, alla remissione del debito e alla esecuzione della semidetenzione e della libertà controllata, ed il tribunale di sorveglianza, nelle materie relative alle richieste di riabilitazione ed alla valutazione sull’esito dell’affidamento in prova al servizio sociale, anche in casi particolari, procedono a norma dell’articolo 667 comma 4.».



L’articolo 2, invece, modifica il testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, trasformando l’attenuante di lieve entità nel reato di detenzione e cessione di droga in un reato autonomo. Inoltre, la modifica comporta la riduzione del termine per la prescrizione ordinaria del reato da venti a sei anni e di quello relativo alla durata massima della custodia cautelare. La disposizione interviene anche in merito all'affidamento terapeutico al servizio sociale di tossicodipendenti ed alcooldipendenti, abrogando il divieto di disporre per più di due volte l'affidamento terapeutico al servizio sociale ed escludendo l'arresto in flagranza per i delitti di lieve entità. Inoltre, viene incrementato il ricorso a misure cautelari a favore dei minorenni imputati per reati di lieve entità, come ad esempio il collocamento presso una "comunità pubblica o autorizzata".

L’articolo 2 recita così: 1. Al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 73, il comma 5 e’ sostituito dal seguente comma: «5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000 a euro 26.000.»; b) all’articolo 94, il comma 5 è abrogato. (( 1-bis. All’articolo 380, comma 2, lettera h), del codice di procedura penale, le parole: «salvo che ricorra la circostanza prevista dal comma 5 del medesimo articolo» sono sostituite dalle seguenti: «salvo che per i delitti di cui al comma 5 del medesimo articolo». 1-ter. All’articolo 19, comma 5, delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, salvo che per i delitti di cui all’articolo 73, comma 5, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni».)).



L’articolo 3 apporta una sostanziale riforma della disciplina nelle materie di competenza del giudice di sorveglianza e mira a migliorare la tutela del detenuto nei casi di violazione dei propri diritti fondamentali, in linea con quanto statuito dalla Corte nel caso Torreggiani. Infatti, la legge introduce la possibilità di proporre reclamo non solo al giudice di sorveglianza, ma anche al direttore dell’istituto penitenziario, al provveditore regionale, al capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, al Ministro della Giustizia, alle autorità giudiziarie e sanitarie in visita all'istituto, al Garante nazionale e ai garanti regionali o locali dei diritti dei detenuti ed, infine, al Presidente della giunta regionale. Al fine di garantire il rispetto di leggi o regolamenti da parte dell'amministrazione penitenziaria, il magistrato ha il potere di accertate la sussistenza e l'attualità del pregiudizio e di ordinare all'amministrazione di porre rimedio entro un termine. Ulteriore modifica dell’ordinamento penitenziario ha ad oggetto la disciplina dell’affidamento in prova ai servizi sociali, che può essere concessa al condannato che debba espiare una pena, anche residua, non superiore a quattro anni di detenzione, mentre nel precedente testo normativo il suddetto affidamento in prova era previsto solo per i condannati a pena detentiva non superiore a tre anni, anche se costituente residuo di maggior pena..

L’articolo 3 prevede che:

1. alla legge 26 luglio 1975, n. 354 sono apportate le seguenti modificazioni: a) l’articolo 35 è così sostituito: «Art. 35. (Diritto di reclamo). – I detenuti e gli internati possono rivolgere istanze o reclami orali o scritti, anche in busta chiusa: 1) al direttore dell’istituto, al provveditore regionale, al capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e al Ministro della giustizia; 2) alle autorità giudiziarie e sanitarie in visita all’istituto; 3) al garante nazionale e ai garanti regionali o locali dei diritti dei detenuti; 4) al presidente della giunta regionale; 5) al magistrato di sorveglianza; 6) al Capo dello Stato»; b) dopo l’articolo 35 e’ aggiunto il seguente: «35-bis (Reclamo giurisdizionale). -

1. Il procedimento relativo al reclamo di cui all’articolo 69, comma 6, si svolge ai sensi degli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale. Salvi i casi di manifesta inammissibilità della richiesta a norma dell’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale, il magistrato di sorveglianza fissa la data dell’udienza e ne fa dare avviso anche all’amministrazione interessata, che ha diritto di comparire ovvero di trasmettere osservazioni e richieste. 2. Il reclamo di cui all’articolo 69, comma 6, lettera a) è proposto nel termine di dieci giorni dalla comunicazione del provvedimento.

3. In caso di accoglimento, il magistrato di sorveglianza, nelle ipotesi di cui all’articolo 69, comma 6, lettera a), dispone l’annullamento del provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare. Nelle ipotesi di cui all’articolo 69, comma 6, lettera b), accertate la sussistenza e l’attualità del pregiudizio, ordina all’amministrazione di porre rimedio (( entro il termine indicato dal giudice. ))

4. ((Avverso la decisione del magistrato di sorveglianza è ammesso reclamo al tribunale di sorveglianza nel termine di quindici giorni dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito della decisione stessa. 4-bis. La decisione del tribunale di sorveglianza è ricorribile per cassazione per violazione di legge nel termine di quindici giorni dalla notificazione o comunicazione dell’avviso di deposito della decisione stessa. ))

5. In caso di mancata esecuzione del provvedimento non più soggetto ad impugnazione, l’interessato o il suo difensore munito di procura speciale possono richiedere l’ottemperanza al magistrato di sorveglianza che ha emesso il provvedimento. Si osservano le disposizioni di cui agli articoli 666 e 678 del codice di procedura penale.

6. Il magistrato di sorveglianza, se accoglie la richiesta: a) ordina l’ottemperanza, indicando modalità e tempi di adempimento, tenuto conto del programma attuativo predisposto dall’amministrazione al fine di dare esecuzione al provvedimento, sempre che detto programma sia compatibile con il soddisfacimento del diritto; b) dichiara nulli gli eventuali atti in violazione o elusione del provvedimento rimasto ineseguito; c) (( (soppressa). )) d) nomina, ove occorra, un commissario ad acta.

7. Il magistrato di sorveglianza conosce di tutte le questioni relative all’esatta ottemperanza, ivi comprese quelle inerenti agli atti del commissario.

8. Avverso il provvedimento emesso in sede di ottemperanza è sempre ammesso ricorso per cassazione per violazione di legge.»; c) all’articolo 47, dopo il comma 3, è aggiunto il seguente comma: «3-bis. L’affidamento in prova può, altresì, essere concesso al condannato che deve espiare una pena, anche residua, non superiore a quattro anni di detenzione, quando abbia serbato, quantomeno nell’anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione di pena, in esecuzione di una misura cautelare ovvero in libertà, un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al comma 2.»; d) all’articolo 47, il comma 4 è sostituito dal seguente comma: «4. L’istanza di affidamento in prova al servizio sociale è proposta, dopo che ha avuto inizio l’esecuzione della pena, al tribunale di sorveglianza competente in relazione al luogo dell’esecuzione. Quando sussiste un grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione, l’istanza può essere proposta al magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo di detenzione. Il magistrato di sorveglianza, quando sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’ammissione all’affidamento in prova e al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e non vi sia pericolo di fuga, dispone la liberazione del condannato e l’applicazione provvisoria dell’affidamento in prova con ordinanza. L’ordinanza conserva efficacia fino alla decisione del tribunale di sorveglianza, cui il magistrato trasmette immediatamente gli atti, che decide entro sessanta giorni.»; e) all’articolo 47, comma 8, infine è aggiunto il seguente periodo: «Le deroghe temporanee alle prescrizioni sono autorizzate, (( nei casi di urgenza, dal direttore dell’ufficio di esecuzione penale esterna, che ne da’ immediata comunicazione al magistrato di sorveglianza e ne riferisce nella relazione di cui al comma 10»; )) f) all’articolo 47-ter, il comma 4-bis è abrogato; g) l’articolo 51-bis è così sostituito: «51-bis (Sopravvenienza di nuovi titoli di privazione della libertà). – 1. Quando, durante l’attuazione dell’affidamento in prova al servizio sociale o della detenzione domiciliare o della detenzione domiciliare speciale o del regime di semilibertà, sopravviene un titolo di esecuzione di altra pena detentiva, il pubblico ministero informa immediatamente il magistrato di sorveglianza, formulando contestualmente le proprie richieste. Il magistrato di sorveglianza, se rileva, tenuto conto del cumulo delle pene, che permangono le condizioni di cui al comma 1 dell’articolo 47 o ai commi 1 e 1-bis dell’articolo 47-ter o ai commi 1 e 2 dell’articolo 47-quinquies o ai primi tre commi dell’articolo 50, dispone con ordinanza la prosecuzione della misura in corso; in caso contrario, ne dispone la cessazione. 2. Avverso il provvedimento di cui al comma 1 e’ ammesso reclamo ai sensi dell’articolo 69-bis.»; h) dopo l’articolo 58-quater è aggiunto il seguente articolo: «58-quinquies (Particolari modalità di controllo nell’esecuzione della detenzione domiciliare). — 1. Nel disporre la detenzione domiciliare, il magistrato o il tribunale di sorveglianza possono prescrivere procedure di controllo anche mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, conformi alle caratteristiche funzionali e operative degli apparati di cui le Forze di polizia abbiano l’effettiva disponibilità. Allo stesso modo può provvedersi nel corso dell’esecuzione della misura. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui all’articolo 275-bis del codice di procedura penale.». i) all’articolo 69 sono apportate le seguenti modificazioni: 1) al comma 5, le parole «nel corso del trattamento» sono soppresse; 2) il comma 6 è sostituito dal seguente: «6. Provvede a norma dell’articolo 35-bis sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti: a) le condizioni di esercizio del potere disciplinare, la costituzione e la competenza dell’organo disciplinare, la contestazione degli addebiti e la facoltà di discolpa; nei casi di cui all’articolo 39, comma 1, numeri 4 e 5, è valutato anche il merito dei provvedimenti adottati; b) l’inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dalla presente legge e dal relativo regolamento, dalla quale derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti.». (( 1-bis. In attesa dell’espletamento dei concorsi pubblici finalizzati alla copertura dei posti vacanti nell’organico del ruolo dei dirigenti dell’esecuzione penale esterna, per un periodo di tre anni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, in deroga a quanto previsto dagli articoli 3 e 4 del decreto legislativo 15 febbraio 2006, n. 63, le funzioni di dirigente dell’esecuzione penale esterna possono essere svolte dai funzionari inseriti nel ruolo dei dirigenti di istituto penitenziario. )) 2. L’efficacia della disposizione contenuta nel comma 1, lettera h), capoverso 1, è differita al giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana della legge di conversione del presente decreto.



L’articolo 4, inoltre, introduce l'estensione da 45 a 75 giorni della liberazione anticipata per ogni singolo semestre di pena scontata come previsto dall'articolo 54 dell'ordinamento penitenziario (legge n. 354/1975), al fine di favorire l’uscita dei detenuti che abbaino dimostrato di partecipare attivamente ai programmi di rieducazione.

L’articolo 4 è così redatto:

1. Ad esclusione dei condannati per taluno dei delitti previsti dall’articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, per un periodo di due anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la detrazione di pena concessa con la liberazione anticipata prevista dall’articolo 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354 è pari a settantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata.

2. Ai condannati che, a decorrere dal 1º gennaio 2010, abbiano già usufruito della liberazione anticipata, è riconosciuta per ogni singolo semestre la maggiore detrazione di trenta giorni, sempre che nel corso dell’esecuzione successivamente alla concessione del beneficio abbiano continuato a dare prova di partecipazione all’opera di rieducazione.

3. La detrazione prevista dal comma precedente si applica anche ai semestri di pena in corso di espiazione alla data dell’1º gennaio 2010.

4. (( (soppresso). ))

5. Le disposizioni di cui ai commi precedenti non si applicano ai condannati ammessi all’affidamento in prova e alla detenzione domiciliare, relativamente ai periodi trascorsi, in tutto o in parte, in esecuzione di tali misure alternative, (( ne’ ai condannati che siano stati ammessi all’esecuzione della pena presso il domicilio o che si trovino agli arresti domiciliari ai sensi dell’articolo 656, comma 10, del codice di procedura penale. ).



L’articolo 5 affronta la questione dell’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a diciotto mesi e stabilizza la legge n. 199/2010, confermando la disposizione che consente di eseguire presso il domicilio la pena detentiva non superiore a 18 mesi, misura che ha contribuito a diminuire la popolazione carceraria in maniera significativa nell’ultimo anno.

L’articolo è così configurato:

1. All’articolo 1 della legge 26 novembre 2010, n. 199, modificata dall’articolo 3 del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9, le parole: «Fino alla completa attuazione del piano straordinario penitenziario nonché in attesa della riforma della disciplina delle misure alternative alla detenzione e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2013,» sono soppresse.



L’articolo 6 rappresenta una delle novità più importanti della legge svuota carceri e modifica il testo unico in materia di immigrazione. Infatti, questa previsione normativa conferma l'espulsione dello straniero detenuto qualora sia stato condannato a due anni di pena detentiva, anche residua, ma soprattutto ne estende il campo di applicazione ai casi in cui lo straniero sia stato condannato per un delitto previsto dal Testo Unico sull'immigrazione. Da quest’ultima ipotesi sono escluse le condanne superiori a 2 anni e le pene inflitte per la commissione di reati di rapina o estorsione aggravate.

Qui si riporta l’articolo 6 sulle modifiche al testo unico in materia di immigrazione:

1. All’articolo 16 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 5, il secondo periodo è sostituito dal seguente periodo: «Essa non può essere disposta nei casi di condanna per i delitti (( previsti dall’articolo 12, commi 1, 3, 3-bis e 3-ter, del presente testo unico, )) ovvero per uno o più delitti previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a) del codice di procedura penale, fatta eccezione per quelli consumati o tentati di cui agli articoli 628, terzo comma e 629, secondo comma, del codice»; b) al comma 5, dopo il secondo periodo è aggiunto il seguente: «In caso di concorso di reati o di unificazione di pene concorrenti, l’espulsione è disposta anche quando sia stata espiata la parte di pena relativa alla condanna per reati che non la consentono.»; c) dopo il comma 5 sono aggiunti i seguenti commi: «5-bis. Nei casi di cui al comma 5, all’atto dell’ingresso in carcere di un cittadino straniero, la direzione dell’istituto penitenziario richiede al questore del luogo le informazioni sulla identità e nazionalità dello stesso. Nei medesimi casi, il questore avvia la procedura di identificazione interessando le competenti autorità diplomatiche e procede all’eventuale espulsione dei cittadini stranieri identificati. A tal fine, il Ministro della giustizia ed il Ministro dell’interno adottano i necessari strumenti di coordinamento. 5-ter. Le informazioni sulla identità e nazionalità del detenuto straniero sono inserite nella cartella personale dello stesso prevista dall’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230.»; d) il comma 6 è sostituito dal seguente comma: «6. Salvo che il questore comunichi che non è stato possibile procedere all’identificazione dello straniero, la direzione dell’istituto penitenziario trasmette gli atti utili per l’adozione del provvedimento di espulsione al magistrato di sorveglianza competente in relazione al luogo di detenzione del condannato. Il magistrato decide con decreto motivato, senza formalità. Il decreto è comunicato al pubblico ministero, allo straniero e al suo difensore, i quali, entro il termine di dieci giorni, possono proporre opposizione dinanzi al tribunale di sorveglianza. Se lo straniero non è assistito da un difensore di fiducia, il magistrato provvede alla nomina di un difensore d’ufficio. Il tribunale decide nel termine di 20 giorni.».



L’articolo 7 istituisce la figura del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, al fine di garantire una maggiore tutela dei diritti fondamentali dei detenuti. Il Garante è costituto in collegio, formato dal Presidente e due membri, i quali restano in carica cinque anni non prorogabili, scelti tra persone che assicurino indipendenza e competenza in materia di diritti umani. Tra i compiti principali del Garante è opportuno segnalare quello di vigilare sulla conformità dell’esecuzione della custodia dei detenuti, degli internati, dei soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere o ad altre forme di limitazione della libertà personale con le norme e i principi stabiliti dalla Costituzione, dalle convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dall’Italia, dalle leggi dello Stato e dai regolamenti. In più, il Garante ha la possibilità di visitare, senza necessità di autorizzazione, gli istituti penitenziari, gli ospedali psichiatrici giudiziari e le strutture sanitarie destinate ad accogliere le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive.

L’articolo 7 è così ufficialmente formulato:

1. E' istituito, presso il Ministero della giustizia, il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della liberta' personale, di seguito denominato «Garante nazionale».

2. Il Garante nazionale e' costituito in collegio, composto dal presidente e da due membri, i quali restano in carica per cinque anni non prorogabili. Essi sono scelti tra persone, non dipendenti delle pubbliche amministrazioni, che assicurano indipendenza e competenza nelle discipline afferenti la tutela dei diritti umani, e sono nominati, previa delibera del Consiglio dei ministri, con (( decreto del Presidente della Repubblica, )) sentite le competenti commissioni parlamentari.

3. I componenti del Garante nazionale (( non possono ricoprire cariche istituzionali, anche elettive, ovvero incarichi in partiti politici. )) Sono immediatamente sostituiti in caso di dimissioni, morte, incompatibilita' sopravvenuta, accertato impedimento fisico o psichico, grave violazione dei doveri inerenti all'ufficio, ovvero nel caso in cui riportino condanna penale definitiva per delitto non colposo. Essi non hanno diritto ad indennita' od emolumenti per l'attivita' prestata, fermo restando il diritto al rimborso delle spese.

4. Alle dipendenze del Garante nazionale, che si avvale delle strutture e delle risorse messe a disposizione dal Ministro della giustizia, e' istituito un ufficio composto da personale dello stesso Ministero, scelto in funzione delle conoscenze acquisite negli ambiti di competenza del Garante. La struttura e la composizione dell'ufficio sono determinate con successivo regolamento del Ministro della giustizia, da adottarsi entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

5. Il Garante nazionale, oltre a promuovere e favorire rapporti di collaborazione con i garanti territoriali, ovvero con altre figure istituzionali comunque denominate, che hanno competenza nelle stesse materie:

a) vigila, affinche' l'esecuzione della custodia dei detenuti, degli internati, dei soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere o ad altre forme di limitazione della liberta' personale sia attuata in conformita' alle norme e ai principi stabiliti dalla Costituzione, dalle convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dall'Italia, dalle leggi dello Stato e dai regolamenti;

b) visita, senza necessita' di autorizzazione, gli istituti penitenziari, gli ospedali psichiatrici giudiziari e le strutture sanitarie destinate ad accogliere le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive, le comunita' terapeutiche e di accoglienza o comunque le strutture pubbliche e private dove si trovano persone sottoposte a misure alternative o alla misura cautelare degli arresti domiciliari, gli istituti penali per minori e le comunita' di accoglienza per minori sottoposti a provvedimenti dell'autorita' giudiziaria, nonche', previo avviso e senza che da cio' possa derivare danno per le attivita' investigative in corso, le camere di sicurezza delle Forze di polizia, accedendo, senza restrizioni, a qualunque locale adibito o comunque funzionale alle esigenze restrittive;

c) prende visione, previo consenso anche verbale dell'interessato, degli atti contenuti nel fascicolo della persona detenuta o privata della liberta' personale e comunque degli atti riferibili alle condizioni di detenzione o di privazione della liberta';

d) richiede alle amministrazioni responsabili delle strutture indicate alla lettera b) le informazioni e i documenti necessari; nel caso in cui l'amministrazione non fornisca risposta nel termine di trenta giorni, informa il magistrato di sorveglianza competente e puo' richiedere l'emissione di un ordine di esibizione;

e) verifica il rispetto degli adempimenti connessi ai diritti previsti agli articoli 20, 21, 22, e 23 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, e successive modificazioni, presso i centri di identificazione e di espulsione previsti dall'articolo 14 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, accedendo senza restrizione alcuna in qualunque locale;

f) formula specifiche raccomandazioni all'amministrazione interessata, se accerta violazioni alle norme dell'ordinamento ovvero la fondatezza delle istanze e dei reclami proposti ai sensi dell'articolo 35 della legge 26 luglio 1975, n. 354.

L'amministrazione interessata, in caso di diniego, comunica il dissenso motivato nel termine di trenta giorni;

g) trasmette annualmente una relazione sull'attivita' svolta ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, nonche' al Ministro dell'interno e al Ministro della giustizia.



L’ultima significativa novità è introdotta dall’articolo 8 del testo normativo che proroga il termine per l’adozione dei decreti relativi alle agevolazioni e agli sgravi per l’anno 2013 da riconoscersi ai datori di lavoro in favore di detenuti ed internati.

L’Articolo 8 prevede infatti che:

E' prorogato per un periodo massimo di sei mesi, a decorrere dall'entrata in vigore del presente decreto, il termine per l'adozione, per l'anno 2013, dei decreti del Ministro della Giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previsti dall'articolo 4 della legge 22 giugno 2000, n. 193, come successivamente modificata, e dall'articolo 4, comma 3-bis, della legge 8 novembre 1991, n. 381, come successivamente modificata, ai fini rispettivamente della determinazione delle modalita' e dell'entita' delle agevolazioni e degli sgravi fiscali, concessi per l'anno 2013 sulla base delle risorse destinate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in attuazione dell'articolo 1, comma 270, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, in favore delle imprese che assumono lavoratori detenuti o internati, anche ammessi al lavoro all'esterno, e per l'individuazione della misura percentuale della riduzione delle aliquote complessive della contribuzione per l'assicurazione obbligatoria previdenziale ed assistenziale dovute alle cooperative sociali per la retribuzione corrisposta ai lavoratori detenuti o internati, anche ammessi al lavoro all'esterno, o ai lavoratori ex degenti degli ospedali psichiatrici giudiziari.

2. L'ammontare massimo dei crediti di imposta mensili concessi a norma dell'articolo 3 della legge 22 giugno 2000, n. 193, e successive modificazioni, deve intendersi esteso all'intero anno 2013.



Un futuro incerto per il sistema penitenziario italiano.

Alla luce dell’attuale situazione in cui versa il sistema penitenziario italiano, è necessario porre in essere alcune riflessioni di fondo sul funzionamento dell’intera giustizia penale del nostro Paese. Infatti, il problema del sovraffollamento ha ripercussioni molto gravi sulle condizioni dei detenuti e la Corte di Strasburgo non ha mancato di qualificare le suddette condizioni come inumani e degradanti. Purtroppo, i provvedimenti posti in essere dallo Stato italiano nel corso del 2010 si sono rilevati del tutto fallimentari sul piano dell’effettiva risoluzione del problema. Soltanto in questi mesi, in virtù della sentenza della Corte Europea e, anche in considerazione della recente statuizione della Corte costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità della legge Fini-Giovanardi, si è finalmente avviato un percorso politico volto a dare una risposta al problema del sovraffollamento e della condizione dei detenuti.

La presente legge “svuota carceri”, sulla base di quanto analizzato in precedenza, ha sicuramente introdotto delle novità significative, che possono contribuire ad affrontare la questione del sovraffollamento nel breve termine e ad incrementare il ricorso a misure alternative alla pena della reclusione. Infatti, la legge prevede veri e propri “incentivi” che mirano a ridurre il ricorso alla pena detentiva: il braccialetto elettronico, l’affidamento in prova, la liberazione anticipata speciale, la detenzione domiciliare e l’espulsione degli stranieri detenuti. Da un altro lato, inoltre, la legge svuota carceri cerca timidamente di migliorare la tutela dei diritti fondamentali del detenuto e di incrementare le garanzie giurisdizionali dei soggetti interessati. Infatti, il testo ha introdotto la nuova figura del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, il quale ha il potere di ottenere informazioni e documenti, formulare specifiche raccomandazioni all'amministrazione penitenziaria e trasmettere al Parlamento una relazione sull'attività svolta. Questa istituzione rappresenta senza dubbio una novità importante nell’ambito della tutela dei diritti dei detenuti, in quanto contribuisce a fare luce sulla situazione delle carceri in Italia e a sollecitare la formulazione di nuove proposte in merito alla questione in esame. Dalla previsione normativa, però, emergono alcune perplessità sulla reale efficacia delle funzioni del Garante, che non sembra essere dotato di poteri concreti al fine di garantire una sostanziale tutela del detenuto. Mentre, nel contesto dei diritti, è opportuno segnalare positivamente l’estensione dei soggetti destinatari dei reclami in via amministrativa proposti dai detenuti per ottenere una maggiore tutela dei propri diritti e l’introduzione di una procedura specifica a garanzia dell`ottemperanza delle decisioni del magistrato di sorveglianza da parte dell'amministrazione penitenziaria.

Allo stato attuale, la legge salva carceri rappresenta l’ultimo atto di una complessa vicenda che vede direttamente coinvolta l’Italia nell’ambito del Consiglio d’Europa, ma che probabilmente non chiuderà definitivamente una situazione così critica. Infatti, la questione del sovraffollamento è una questione molto ampia, che necessita una riforma sostanziale dell’ordinamento penitenziario e delle scelte profonde di politica penale, in quanto si ripercuote negativamente su tutti i servizi e le attività che vengono svolte all’interno di un carcere e sulla qualità complessiva dell’istituto penitenziario.

Come sottolineato dal Comitato europeo, “un carcere sovraffollato implica spazio ristretto e non igienico; una costante mancanza di privacy (anche durante lo svolgimento di funzioni basilari come l’uso del gabinetto), ridotte attività fuori-cella, dovute alla richiesta di aumento del personale e dello spazio disponibili; servizi di assistenza sanitaria sovraccarichi; tensione crescente e quindi più violenza tra i detenuti e il personale. La lista è lungi dall’essere esaustiva. Il CPT ha dovuto concludere in più di un’occasione che gli effetti nocivi del sovraffollamento hanno portato a condizioni di detenzione inumane e degradanti.» A tal proposito, è da segnalare una iniziativa molto positiva promossa dal ministro della giustizia Andrea Orlando con la collaborazione della Regione Liguria, dell’Anci Liguria e del tribunale della Sorveglianza di Genova, che mira ad ampliare le opportunità di inserimento a favore dei detenuti in lavori all’esterno e in lavori di pubblica utilità. L’accordo, firmato il 17 Maggio, prevede misure finalizzate alla riduzione del numero di detenuti nelle carceri, che tiene conto del fatto che la regione Liguria è una delle regioni italiane con il più alto numero di detenuti tossicodipendenti in Italia. Infatti, come ha spiegato il vicepresidente della Regione e assessore alla salute, Claudio Montaldo, su un totale di 1.600 detenuti ben il 40% risultano tossicodipendenti rispetto ad una media italiana del 30%. Questa Convenzione dovrebbe favorire l’uscita di venti detenuti tossicodipendenti dalle carceri liguri entro la fine dell'anno per essere inseriti in comunità, di 40 entro il 2015 ed, infine, di 50 nel 2016. Una iniziativa regionale virtuosa, che può costituire un modello da adottare su tutto il territorio nazionale. Infatti, il Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, prendendo atto delle difficoltà politiche per l’adozione di misure di indulto e amnistia a livello parlamentare, ha proposto di siglare una convenzione con il Ministero dell’Ambiente per incentivare l’utilizzo del lavoro dei detenuti nella manutenzione dei parchi nazionali, anche a fronte della scarse risorse disponibili per la Pubblica Amministrazione. Inoltre, il 22 Maggio si è tenuto un incontro a Strasburgo tra il Ministro della Giustizia, la Corte di Strasburgo e il Consiglio d’Europa, in cui si è discusso delle proposte politiche e dei provvedimenti presi dallo Stato Italiano sulla situazione delle carceri. In questa occasione, il Ministro della Giustizia Andrea Orlando ha personalmente illustrato il quadro delle misure adottate per far fronte all’emergenza carceri nel nostro paese, ottenendo aperture positive dai vertici del Consiglio d’Europa. Infatti, il vice segretario generale del Consiglio d’Europa ha espresso grande soddisfazione per l'impegno decisivo del ministro Orlando nel trovare delle soluzioni adeguate per risolvere il problema del sovraffollamento, auspicando un impegno definitivo dell'Italia per andare oltre il problema e poterlo risolvere in modo duraturo. Alla luce di questo contesto, probabilmente il Ministro Orlando riuscirà ad ottenere una deroga sulla scadenza prevista dalla sentenza Torreggiani, ma allo stato attuale non è emersa ancora nessuna notizia ufficiale[1].

Inoltre, ad avviso di chi scrive, urge anche affrontare il problema dei detenuti in attesa di giudizio in maniera conforme a quanto stabilito dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti (CPT), che ritiene necessario “mirare ad assicurare ai detenuti in attesa di giudizio la possibilità di trascorrere una parte ragionevole del giorno (8 ore o più) fuori dalle loro celle, occupati in attività significative di varia natura, mentre i regimi per i detenuti la cui sentenza è definitiva dovrebbero essere ancora più favorevoli”.

La legge in esame, se da un lato apporta piccole modifiche necessarie per una rapida risposta alla Corte di Strasburgo, da un altro non produce quelle riforme di fondo del sistema. In questo senso, non può negarsi che la crescita continua della popolazione carceraria rappresenta una sfida cruciale per il corretto funzionamento dell’amministrazione penitenziaria e per il sistema della giustizia penale sia per quanto riguarda il rispetto dei diritti fondamentali, sia per una corretta gestione delle carceri.

Su questo punto, si ritiene opportuno recepire a livello legislativo interno, le considerazioni presentate il 30 settembre 1999 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa nella Raccomandazione riguardante il sovraffollamento delle carceri e l'inflazione carceraria.

Nella presente, il Comitato dei Ministri, in virtù dell'articolo 15.b dello Statuto del Consiglio d'Europa, ha stabilito alcuni principi basilari a cui gli Stati dovrebbero ispirarsi per organizzare il proprio sistema penale e penitenziario:
•La privazione della libertà dovrebbe essere considerata come una sanzione o una misura di ultima istanza e dovrebbe pertanto essere prevista soltanto quando la gravità del reato renderebbe qualsiasi altra sanzione o misura manifestamente inadeguata.


•L'ampliamento del parco penitenziario dovrebbe essere piuttosto una misura eccezionale in quanto, in generale, non è adatta ad offrire una soluzione duratura al problema del sovraffollamento. I paesi la cui capacità carceraria potrebbe essere nel complesso sufficiente ma non adeguata ai bisogni locali, dovrebbero sforzarsi di giungere ad una ripartizione più razionale di tale capacità.


•Gli Stati membri dovrebbero esaminare l'opportunità di depenalizzare alcuni tipi di delitti o di riqualificarli in modo da evitare che essi richiedano l'applicazione di pene privative della libertà.


•Gli Stati membri, pur tenendo conto dei loro principi costituzionali o delle loro tradizioni giuridiche, dovrebbero applicare il principio dell'opportunità dell'azione penale (o misure aventi lo stesso obiettivo) e ricorrere a procedure semplificate e a transazioni come alternative alle azioni penali nei casi appropriati, al fine di evitare un procedimento penale completo.


•L’applicazione della custodia cautelare e la sua durata dovrebbero essere ridotte al minimo compatibile con gli interesse della giustizia. Gli Stati membri dovrebbero, al riguardo, assicurarsi che la loro legislazione e la loro prassi siano conformi alle disposizioni pertinenti della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo ed alla giurisprudenza dei suoi organi di controllo.




•È opportuno fare un uso più ampio possibile delle alternative alla custodia cautelare quali ad esempio l'obbligo, per l'indagato, di risiedere ad un indirizzo specificato, il divieto di lasciare o di raggiungere un luogo senza autorizzazione, la scarcerazione su cauzione, o il controllo e il sostegno di un organismo specificato dall'autorità giudiziaria. A tale proposito è opportuno valutare attentamente la possibilità di controllare tramite sistemi di sorveglianza elettronici l'obbligo di dimorare nel luogo precisato.


•Sarebbe opportuno promuovere lo sviluppo di misure volte a ridurre la durata effettiva della pena eseguita, preferendo le misure individuali, quali la liberazione condizionale, alle misure collettive per la gestione del sovraffollamento carcerario (indulti collettivi, amnistie).


•La liberazione condizionale dovrebbe essere considerata come una delle misure più efficaci e più costruttive che, non soltanto riduce la durata della detenzione, ma contribuisce anche in modo significativo al reinserimento pianificato del delinquente nella comunità.


•I locali di detenzione e, in particolare, quelli destinati ad accogliere i detenuti durante la notte, devono soddisfare le esigenze di rispetto della dignità umana e, per quanto possibile, della vita privata, e rispondere alle condizioni minime richieste in materia di sanità e di igiene, tenuto conto delle condizioni climatiche, in particolare per quanto riguarda la superficie, la cubatura d’aria, l’illuminazione, il riscaldamento e l’aerazione.


•Ogni detenuto, di regola, deve poter disporre durante la notte di una cella individuale, tranne quando si consideri preferibile per lui che condivida la cella con altri detenuti.



Nel decidere di alloggiare detenuti in particolari istituti o in particolari sezioni di un carcere bisogna tener conto delle necessità di separare i detenuti imputati dai detenuti condannati; i detenuti maschi dalle detenute femmine; i detenuti giovani adulti dai detenuti più anziani.

[1] Fonte Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/alxomR.

Segnalo un recentissimo testo, dal carattere squisitamente pratico-operativo e relativo al rimedio risarcitorio di cui al novellato art. 35-ter l. 354/1975.

Risarcimento dei detenuti per sovraffollamento. Procedura e formulario.

di Antonio Di Tullio D'Elisiis, edito da Maggioli Editore, settembre 2014.


L'opera, aggiornata al D.L. 92/2014 convertito con modifiche in L. 117/2014, con il FORMULARIO per le istanze, affronta le problematiche attinenti al trattamento inumano e degradante dei detenuti in carcere.
Oltre al commento della novella normativa, sono riportate 19 Formule strutturate su una casistica pratica utili al professionista al fine di predisporre l'istanza per il proprio cliente.
Si illustrano, altresì, anche i presupposti normativi e le procedure da seguire per la richiesta del risarcimento.
Come ricorda l'articolo 3 della Convezione Europea dei Diritti dell'Uomo "Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti" quindi le condizioni dei detenuti nei penitenziari dovranno essere consone per scontare la pena in una condizione di dignità umana.
- Il "nuovo" art. 35-ter, commi 1 e 2, legge 26 luglio 1975, n. 354: la sua formulazione Il pregiudizio di cui all'art. 69, comma 6, lett. b), legge 26 luglio 1975, n. 354 Le condizioni di detenzione tali da violare l'articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848: tra profili teorici e casi pratici - Il sovraffollamento carcerario e le vicende similari -Le altre situazioni che possono determinare un trattamento carcerario inumano o degradante - La tortura- Il regime probatorio - L'onere dimostrativo - Il sovraffollamento carcerario e le vicende similari -I profili procedurali - La presentazione della richiesta - La competenza territoriale - La natura del procedimento - La natura del ristoro - Le impugnazioni - L'ottemperanza - Ulteriori profili di criticità giuridica - Le modifiche all'art. 678 c.p.p. - La modifica dell'art. 97-bis disp. att. c.p.p. - Le modifiche apportate all'articolo 24 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 2 - Il "nuovo" comma 2-bis dell'art. 275 c.p.p.

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