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I MINORI UCCISI DAL MONDO: lo sfruttamento dei minori nel mondo

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view post Posted on 30/3/2015, 08:24
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Lo sfruttamento dei minori nel mondo

di Valentina Perez (Medie Inferiori) scritto il 05.1.15


Sono 246 milioni i bambini lavoratori nel mondo che sono presenti nei Paesi in via di sviluppo, ma anche in Europa, negli Usa e in altri Paesi industrializzati. Lo sfruttamento dei minori non si ferma alle piccole faccende di casa, alle commissioni per i genitori, ai piccoli lavori estivi. Spesso i piccoli sono utilizzati in pericolose lavorazioni nelle fabbriche chimiche, in pesanti turni nelle miniere o in faticose corvée nei laboratori tessili. A combattere questa piaga c’è in prima linea l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), ma anche i sindacati, i Governi e le Ong. Un’azione difficile sia sotto il profilo normativo sia sotto quello educativo, informativo e di denuncia. Un lavoro fatto di piccoli interventi quotidiani, ma anche di grandi appuntamenti. Come il Congresso mondiale dei ragazzi sul lavoro minorile che si svolgerà a Firenze da oggi al 12 maggio e la Global March che si terrà, sempre a Firenze, il 13 maggio. Due occasioni nelle quali saranno gli stessi ragazzi a denunciare lo sfruttamento e sollecitare tutte le autorità a intervenire per tutelare i diritti di bambini e bambine. Un’opportunità per fare il punto sul fenomeno del lavoro minorile e sui successi nella lotta contro lo sfruttamento.
Nel mondo vengono sfruttati quasi 250 milioni di bambini, fra i 5 e i 14 anni. La vergognosa piaga del lavoro minorile non riguarda solamente i Paesi in via di sviluppo, ma tocca anche il cosiddetto mondo civilizzato, dall’America all’Europa, Italia compresa. Se guardiamo dentro a questo nostro grande Paese, tanto decantato da alcuni potenti e ricchi politici come una nazione dove tutti vivono nel benessere, scopriamo che ci sono milioni di semianalfabeti, perché per l’istruzione si spende meno dello sconosciuto Lesotho africano. Molti milioni non riescono a varcare la soglia della povertà, mentre sono ben 150 mila i bambini che sono occupati nelle varie attività, di cui oltre 30 mila sono quelli da considerarsi sfruttati. Se ai bambini italiani aggiungiamo quelli extracomunitari, la cifra sale notevolmente. E tutto ciò in violazione della Legge n. 977 del 1967, che fissa a 15 anni l’età minima per l’assunzione al lavoro. Rimaniamo in Europa. A Bucarest ho incontrato i bambini che vivono nelle fogne. Nel cuore del vecchio continente vivono ancora adolescenti che sono oggetto dello sfruttamento più disumano, perché usati come mezzo di guadagno per l’accattonaggio, sino ad arrivare a fratturare loro gli arti per impietosire i passanti. Ma ciò che inorridisce è il fatto che alcuni bambini vengono usati come "pezzi di ricambio" per il traffico di organi umani.

Spostando lo sguardo all’Africa, nei miei occhi e nella mia mente sono rimaste indelebili le immagini dei bambini che ho visto morire di fame nel Mali, di sete in Etiopia, ridotti a scheletri in Ruanda, Sudan, Congo sino ad arrivare alla Somalia. Per difendere gli interessi delle multinazionali, che a vario titolo sfruttano le risorse dell’Africa, scoppiano guerre fratricide che coinvolgono milioni di piccoli esseri umani, non solo per gli effetti distruttivi, ma anche perché partecipi direttamente ai conflitti. I bambini-soldato combattono in più di 20 Paesi. In Africa, dove molti conflitti sono in corso, Paesi come Uganda, Burundi, Etiopia, Congo e Sudan, arruolano bambini che vanno dai 7 ai 12 anni. In Uganda ho visto un bambino di circa 8 anni con in mano un fucile più grande di lui. Dietro a un volto smarrito due grandi occhi neri mi guardavano con paura. Il bambino-soldato, per l’anagrafe, "non esiste". Come "non esistono" milioni di bambini privi di un qualsiasi documento di riconoscimento.

Tale condizione favorisce i nuovi schiavisti che arruolano con la violenza e il rapimento bambini innocenti. Negli ultimi decenni le guerre nel mondo hanno ucciso più di due milioni di bambini e mutilato gravemente altri 5 milioni. Oltre un milione sono rimasti orfani. Dei circa 40 milioni di profughi nel mondo, oltre 1’80% è costituito da bambini, donne e anziani. In Angola si dice che ogni abitante ha una mina a sua disposizione per saltare in aria, tanti sono gli ordigni di morte disseminati nel terreno. E, come sempre, sono i bambini le vittime più numerose. In Uganda, dove la guerra civile dura da dieci anni, sono già morti oltre 20 mila bambini. Una guerra disumana, perché i ribelli arruolano ragazzini sequestrandoli con la violenza per poi plagiarli e mandarli a combattere. Come cent’anni fa, sono in attività i mercanti di uomini.

In una vasta zona, che va dal Gabon al Togo e al Benin, migliaia di piccoli vengono venduti dalle famiglie per pochi soldi, in molti casi vengono rapiti per essere ceduti come schiavi al servizio dei grandi proprietari terrieri della Costa Avorio, per essere utilizzati nelle piantagioni di cotone e cacao. Mentre ai bambini vengono affidati i lavori più duri, le bambine subiscono la violenza e l’umiliazione di servire nelle famiglie dei ricchi. I mali dell’Africa non finiscono qui. Un male terribile sta distruggendo milioni di africani: l’Aids. Si sta profilando una catastrofe umanitaria di proporzioni inimmaginabili.
Ci sono gravissime responsabilità da parte delle multinazionali farmaceutiche che invece di combattere la malattia, distribuendo a basso costo le medicine, la favoriscono applicando prezzi inaccessibili. E sono i bambini, come sempre, le prime vittime di un’ingiustizia che torna a vergogna per tutti i Governi del mondo. Come se non bastasse, l’Africa è diventata la più grande pattumiera della terra. Le ragioni sono semplici: i Paesi ricchi industrializzati, a vario titolo, producono scorie e veleni altamente tossici che non possono smaltire in casa loro. Allora, attraverso un sistema di riciclaggio, danno soldi e armi ai Paesi poveri in cambio delle smaltimento dei loro rifiuti che finiscono nel sottosuolo di un vasto territorio difficilmente controllabile. Quello che non finisce nei Paesi poveri trova collocazione nelle profondità marine. I rischi per la salute sono enormi, soprattutto per una popolazione già minata nel fisico dalla denutrizione.

Come sempre i primi a essere colpiti sono i bambini. In India lo sfruttamento della manodopera minorile raggiunge cifre impressionanti. Milioni di bambini vengono impiegati in diverse attività lavorative come la produzione di tappeti, concerie, vetrerie, cave, la raccolta di rifiuti e il trasporto di oggetti pesanti. Sono bambini che non frequentano la scuola e sono privi di una qualsiasi assistenza. In India l’analfabetismo riguarda quasi metà della popolazione. Invitare, però, i cittadini occidentali a non acquistare i prodotti provenienti dall’India, come i tappeti, è sbagliato, perché mentre da una parte si rischia di mettere in crisi la già povera economia del Paese, dall’altra i bambini verrebbero impiegati in altri settori.

Sono le multinazionali le prime sfruttatrici, in quanto acquistano i prodotti a basso prezzo. Esse dovrebbero rinunciare a una parte dei loro cospicui profitti, pagando un prezzo più alto, per costringere così i produttori locali a rinunciare a impiegare manodopera al di sotto dei 14 anni. Identiche situazioni troviamo in Brasile, dove migliaia di minori lavorano nelle miniere e in tante altre attività faticose e pericolose. Così in Perù, in Colombia, in Ecuador, in Indonesia e Malesia, per citare i casi più importanti. In Pakistan, bambini e bambine lavorano nelle fornaci, aiutano i muratori portando mattoni e calce. Per pochi soldi esercitano i lavori più duri e umili. In Nepal, tra i Paesi più poveri al mondo, migliaia di bambini vivono sulla strada, diventata la loro casa. Il 40% degli abitanti risultano essere denutriti e l’alfabetizzazione raggiunge solamente il 43% della popolazione. In Thailandia, accanto allo sfruttamento minorile del lavoro, prospera la pedofilia. Migliaia di bambini e bambine vengono avviati alla prostituzione già in tenera età.

Ad alimentare questo infame mercato, in espansione, contribuiscono molti occidentali che arrivano a Bangkok da tutto il mondo, italiani compresi, per distruggere la vita degli adolescenti.

I BAMBINI SOLDATO
Sono più di 300.000 i minori di 18 anni attualmente impegnati in conflitti nel mondo.
Centinaia di migliaia hanno combattuto nell'ultimo decennio, alcuni negli eserciti governativi, altri nelle armate di opposizione. La maggioranza di questi hanno da 15 a 18 anni ma ci sono reclute anche di 10 anni e la tendenza che si nota è verso un abbassamento dell'età. Decine di migliaia corrono ancora il rischio di diventare soldati.

Il problema è più grave in Africa (il rapporto presentato nell'aprile scorso a Maputo parla di 120.000 soldati con meno di 18 anni) e in Asia ma anche in America e Europa parecchi stati reclutano minori nelle loro forze armate.

Negli ultimi 10 anni è documentata la partecipazione a conflitti armati di bambini dai 10 ai 16 anni in 25 Paesi. Alcuni sono soldati a tutti gli effetti, altri sono usati come "portatori" di munizioni, vettovaglie ecc. e la loro vita non è meno dura e a rischio dei primi.
Alcuni sono regolarmente reclutati nelle forze armate del loro stato, altri fanno parte di armate di opposizione ai governi; in ambedue i casi sono esposti ai pericoli della battaglia e delle armi, trattati brutalmente e puniti in modo estremamente severo per gli errori. Una tentata diserzione può portare agli arresti e, in qualche caso, ad una esecuzione sommaria.
Anche le ragazze, sebbene in misura minore, sono reclutate e frequentemente soggette allo stupro e a violenze sessuali. In Etiopia, per esempio, si stima che le donne e le ragazze formino fra il 25 e il 30 per cento delle forze di opposizione armata.

Anche nella storia passata i ragazzi sono stati usati come soldati, ma negli ultimi anni questo fenomeno è in netto aumento perché è cambiata la natura della guerra, diventata oggi prevalentemente etnica, religiosa e nazionalista. I "signori della guerra" che le combattono non si curano delle Convenzioni di Ginevra e spesso considerano anche i bambini come nemici. Secondo uno studio UNICEF, i civili rappresentavano all'inizio del secolo il 5 per cento delle vittime di guerra. Oggi costituiscono il 90 per cento.

L'uso di armi automatiche e leggere ha reso più facile l'arruolamento dei minori; oggi un bambino di 10 anni può usare un AK-47 come un adulto. I ragazzi, inoltre, non chiedono paghe, e si fanno indottrinare e controllare più facilmente di un adulto, affrontano il pericolo con maggior incoscienza (per esempio attraversando campi minati o intrufolandosi nei territori nemici come spie).

Inoltre la lunghezza dei conflitti rende sempre più urgente trovare nuove reclute per rimpiazzare le perdite. Quando questo non è facile si ricorre a ragazzi di età inferiore a quanto stabilito dalla legge o perché non si seguono le procedure normali di reclutamento o perché essi non hanno documenti che dimostrino la loro vera età.

Si dice che alcuni ragazzi aderiscono come volontari: in questo caso le cause possono essere diverse: per lo più lo fanno per sopravvivere, perché c’è di mezzo la fame o il bisogno di protezione. Nella Rep. Democratica del Congo, per esempio, nel '97 da 4.000 a 5.000 adolescenti hanno aderito all'invito, fatto attraverso la radio, di arruolarsi: erano per la maggior parte "ragazzi della strada".

Un altro motivo può essere dato da una certa cultura della violenza o dal desiderio di vendicare atrocità commesse contro i loro parenti o la loro comunità. Una ricerca condotta dall'ufficio dei Quaccheri di Ginevra mostra come la maggioranza dei ragazzi che va volontario nelle truppe di opposizione lo fa come risultato di una esperienza di violenze subite personalmente o viste infliggere ai propri familiari da parte delle truppe governative.
Una forma di sfruttamento
Per i ragazzi che sopravvivono alla guerra e non hanno riportato ferite o mutilazioni, le conseguenze sul piano fisico sono comunque gravi: stati di denutrizione, malattie della pelle, patologie respiratorie e dell'apparato sessuale, incluso l'AIDS.

Inoltre ci sono le ripercussioni psicologiche dovute al fatto di essere stati testimoni o aver commesso atrocità: senso di panico e incubi continuano a perseguitare questi ragazzi anche dopo anni. Si aggiungano le conseguenze di carattere sociale: la difficoltà dell'inserirsi nuovamente in famiglia e del riprendere gli studi spesso è tale che i ragazzi non riescono ad affrontarla. Le ragazze poi, soprattutto in alcuni ambienti, dopo essere state nell'esercito, non riescono a sposarsi e finiscono col diventare prostitute.

L'uso dei bambini soldato ha ripercussioni anche su gli altri ragazzi che rimangono nell'area del conflitto, perché tutti diventano sospettabili in quanto potenzialmente nemici. Il rischio è che vengano uccisi, interrogati, fatti prigionieri.

Qualche volta i bambini soldato possono rappresentare un rischio anche per la popolazione civile in senso lato: in situazioni di tensione sono meno capaci di autocontrollo degli adulti e quindi sono "dal grilletto facile".

Per quanto molti stati siano riluttanti ad ammetterlo, l'uso di bambini soldato può essere considerato come una forma di lavoro illegittimo per la natura pericolosa del lavoro. L'ILO riconosce che: "il concetto di età minima per l'ammissione all'impiego o lavoro che per sua natura o per le circostanze in cui si svolge porti un rischio per la salute, la sicurezza fisica o morale dei giovani, può essere applicata anche al coinvolgimento nei conflitti armati". L'età minima, secondo la Convenzione n° 138, corrisponde ai 18 anni.
Ricerche ONU hanno mostrato come la principale categoria di ragazzi che diventa soldato in tempo di guerra, sia soggetta allo sfruttamento lavorativo in tempo di pace.
La maggioranza dei bambini soldato appartiene a queste categorie:
-ragazzi separati dalle loro famiglie (orfani, rifugiati non accompagnati, figli di single)
-provenienti da situazioni economiche o sociali svantaggiate (minoranze, ragazzi di strada, sfollati)
-ragazzi che vivono nelle zone calde del conflitto.
Chi vive in campi profughi è particolarmente a rischio di essere sfruttato da gruppi armati. Le famiglie e le comunità sono distrutte, i ragazzi sono abbandonati a se stessi e la situazione è di grande incertezza. I rifugiati sono così spesso alla mercé dei gruppi armati.

DA UNA RICERCA SCOLASTIA DELLE MEDIE INFERIORI CASARZA LIGURE.
©DEATHENA
 
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