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COLLIRIO DEI CENTURIONI ROMANI

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TOPIC_ICON1  view post Posted on 4/12/2015, 07:29
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Scoperto il collirio degli antichi romani



Trovate in un relitto di una nave romana delle strane pillole. Risalgono a 2000 anni fa e si tratta di una specie di collirio composto di zinco, amido e cera d’api. Una medicina per curare gli occhi citata già da Plinio il Vecchio.





Il mare della Toscana ci ha restituito l’antico collirio di Plinio il Vecchio. È racchiuso in misteriosi cilindri di 4-5 cm di diametro ritrovati in un relitto non lontano da Piombino.
La storia è presto detta: fra il 140 e il 120 a.C., mentre Roma si godeva le ricchezze accumulate dopo la terza Guerra Punica, un veliero di ritorno da un viaggio nel Mediterraneo fu sorpreso da una tempesta e naufragò nel Golfo di Baratti, vicino a Piombino.
Nel relitto furono trovati alcuni interessanti oggetti, compresa una “cassetta dei medicinali” d’emergenza a disposizione dei marinai (e dell’eventuale medico di bordo).

Ora ricercatori dell’Università di Pisa hanno pubblicato su Proceeding of the National Academy of Sciences i risultati delle analisi chimiche delle pastiglie presenti a bordo. Dallo studio si evince che erano composte da grassi animali e vegetali, resine di pino e composti dello zinco, amido e cera d’api.

Senza occhiali da sole



Per gli scienziati questa composizione indica che si trattasse di antichi rimedi per alleviare il dolore agli occhi, una sorta di collirio, usato per ripulirli dalle impurità.
Non è impensabile infatti, che i marinai potessero soffrire di forti congiuntiviti a causa del forte riverbero delle acque marine contro il quale non c’era nulla per difendersi o per batteri presenti nelle navi che potevano proliferare senza alcun ostacolo.

Come sono stati studiati



Spiega Maria Perla Colombini, professoressa di chimica all’Università di Pisa: «Sono rimasta davvero sorpresa nello scoprire così tanti ingredienti presenti in una sola pillola e come essi si siano preservati così bene nonostante che le pastiglie siano rimaste sott’acqua per così tanto tempo». La ricercatrice ha utilizzato uno spettrometro di massa per determinare la composizione chimica dei dischetti, un lavoro che ha richiesto molto tempo sia per preparare il materiale da sottoporre ad analisi, sia per lo studio vero e proprio.

La ricerche precedenti



Uno studio dello Smithsonian's Center for Conservation and Evolutionary Genetics su altre pastiglie simili aveva avanzato l’ipotesi che si trattasse di medine per combattere problemi gastrointestinali Ma a supporto delle tesi dell’Università di Pisa vi sono anche alcuni documenti storici, come spiega Gianna Giachi, della Soprintendenza dei Beni Archeologici della Toscana: «Abbiamo confrontato i risultati ottenuti con quanto scrivevano antichi autori a proposito di rimedi medici, tra cui Teofrasto, Plinio il Vecchio e Dioscoride. Nei loro scritti si scopre che l’uso di composti allo zinco erano frequentemente utilizzati proprio per porre rimedio a problemi agli occhi».

Anche il medico di bordo sui velieri dei romani



Sulle navi di 2 mila anni fa c'era anche un dottore a disposizione dei marinai. Lo rivelano alcuni "strumenti del mestiere" (medicinali compresi) ritrovati su un relitto non lontano da Piombino.


Un'immagine microscopica mostra la composizione delle compresse medicinali rinvenute a bordo del relitto del Pozzino.




Fra il 140 e il 120 a.C., mentre Roma si godeva le ricchezze accumulate dopo la terza Guerra Punica, che aveva decretato la disfatta di Cartagine, un veliero di ritorno da un viaggio nel Mediterraneo fu sorpreso da una tempesta e naufragò nel Golfo di Baratti, vicino a Piombino. Le sorti dell'equipaggio rimangono oscure, ma quel che è certo è che fino al tragico epilogo, a prendersi cura dei marinai dovette esserci un medico di bordo. Lo dimostra uno studio dello Smithsonian Conservation Biology Institute di Washington (Stati Uniti), in collaborazione con il Laboratorio di Analisi della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana.

L'imbarcazione, un veliero di 15 metri per 3 in legno d pino, rovere e noce, rinvenuto nel 1974 a 18 metri di profondità, trasportava vasellame di ceramica e vetro lungo le rotte del Mediterraneo. Oltre alla merce, a bordo del relitto del Pozzino (così come è stato ribattezzato, in onore delle località dove si trovava) sono stati rinvenuti anche alcuni strumenti del mestiere tipicamente da medico, come un'asticella sottile per esaminare le ferite (detta "specillo"), una ventosa di bronzo per praticare i salassi e un mortaio. Ma il reperto che più ha incuriosito gli archeologi è stato un cofanetto contenente 136 piccoli cilindri di legno perfettamente sigillati e impermeabili all'acqua, gli involucri per una serie di misteriosi dischetti di circa un centimetro di diametro.


Sofisticate analisi di biologia molecolare hanno individuato nei dischetti la sequenza genetica di alcune piante officinali molto utilizzate nell'antichità, come ibisco, biancospino, achillea, ma anche vegetali che oggi mettiamo sulla tavola, cipolla, carota, noce, cavolo, sedano e prezzemolo. Probabilmente, quindi, i dischetti non erano altro che compresse curative, antesignane delle moderne pastiglie, da sciogliere in acqua o vino o applicare direttamente sul corpo, usate per curare infiammazioni, tosse e altri piccoli disturbi che potevano sopraggiungere durante la navigazione. Il medico le confezionava forse pestando e miscelando gli ingredienti con il mortaio.

Tutte queste analisi non sarebbero state possibili senza le moderne tecniche di analisi genetica. Ecco perché alcune importanti scoperte archeologiche come questa avvengono a distanza anche di decine di anni dal ritrovamento dei reperti. Ora gli esperti si propongono di capire quali fossero le malattie più diffuse dell'epoca e quali i rimedi utilizzati per combatterle. Più studi analoghi potrebbero portare a capire come le patologie si sono evolute nel corso dei secoli e, perché no, farci scoprire qualche vecchio rimedio efficace ancora oggi.

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Edited by **Ishtar** - 20/2/2018, 10:15
 
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