Cosmo bioenergetico

Posts written by **Ishtar**

view post Posted: 15/2/2022, 13:05 Parole di Gandhi - Il sentiero della Grande Madre
Grazie mille....sinceramente ne avevo davvero bisogno...il periodo che stiamo tutti vivendo è molto pesante anche dal punto di vista energetico....e capita di smarrire la strada.......grazie di cuore....
view post Posted: 14/9/2021, 12:39 Ciao a tutti - Welcome
Ciao ben ritornata :) mi spiace è un periodo che siamo poco presenti causa lavoro e altro...ma se hai bisogno scrivi pure che ti rispondiamo :)
view post Posted: 6/8/2021, 12:34 Ciao a tutti - Welcome
Ciao Elisa...benvenuta nel nostro forum...mi presento sono Ishtar e sono una delle admin...l'altra si chiama Deathena...;) purtroppo per motivi lavorativi non riusciamo più a connetterci come prima ma siamo comunque presenti...e ti leggeremo appena possibile...in questo forum trattiamo vari argomenti che hanno tutti un filo conduttore...credo sia il periodo giusto per occuparti di manipolazione del mass media.....ed è un argomento molto interessante...che potrebbe abbracciare anche l'ambito dei messaggi subliminari... :) siamo sottoposti continuamente a forme di manipolazione sarebbe utile averne consapevolezza così da poterci difendere..scusa se posso chiedere ma di cosa ti occupi? nel senso queste ricerche che stai conducendo sono in ambito lavorativo o prevalentemente perchè tua passione?
Se hai domande o altro sarò lieta di risponderti...
view post Posted: 6/11/2019, 10:38 La favola giapponese del bambù che ti insegna a tenere duro nonostante le avversità - Il sentiero della Grande Madre

La favola giapponese del bambù che ti insegna a tenere duro nonostante le avversità



leggenda-bamb



Ci sono momenti nella vita in cui tutto sembra perduto, in cui ogni sforzo sembra essere stato vano. Fasi inevitabili per chiunque, che possono essere però affrontate con uno spirito diverso, proprio come racconta questa favola giapponese del bambù.

La leggenda racconta che due agricoltori passeggiavano per il mercato, quando la loro attenzione venne catturata da alcuni semi sconosciuti. Chiesero al venditore cosa fossero e quello rispose che venivano dall’Oriente e che erano speciali. Ma non svelò il perché ai due curiosi, dicendo loro che se li avessero acquistati e piantati, dando loro solo acqua e concime, lo avrebbero scoperto da soli.

I due agricoltori li acquistarono ed entrambi li piantarono, seguendo i suggerimenti del venditore. Passò un periodo e nulla accadde, nonostante altre piante fossero già fiorite e avessero dato frutti. Uno dei due si lamentò sostenendo che quei semi erano una truffa. Da quel momento non se ne prese più cura. L’altro agricoltore tenne duro e continuò a concimarli. Tuttavia nulla accadeva.

Era passato talmente tanto tempo che anche l’agricoltore più tenace era sul punto di lasciar stare, ma un giorno vide finalmente crescere un bambù. E in sole 6 settimane le piante raggiunsero l’altezza di 30 metri. Durante il lungo periodo di inattività il bambù aveva generato un articolato sistema di radici, grazie al quale avrebbe poi potuto prosperare per molto tempo.

Cosa significa?

Che non dobbiamo voler ottenere tutto subito e che nei momenti più duri, apparentemente senza senso, ci vogliono pazienza e perseveranza, segreti della resilienza, e forse anche un pizzico di fiducia nella vita. La leggenda insegna anche che senza radici siamo perduti, e nonostante farle crescere richieda molto sforzo, è fondamentale lavorare sodo perché siano solide e durature. Una base senza la quale siamo foglie al vento!
Altra cosa che ci insegna la storia giapponese è l’inevitabile alternanza di alti e bassi, in qualunque ambito, che non va combattuta ma accettata. Così come l’alternanza di buio e luce, attività e passività, “opposti” che non possono esistere gli uni senza gli altri, come d’altronde ci insegna la natura.


FONTE

view post Posted: 6/11/2019, 10:29 Leucemia fulminante: è di un italiano la cura chemio-free che guarisce in 9 casi su 10 - CANCRO: informazione libera

Leucemia fulminante: è di un italiano la cura chemio-free che guarisce in 9 casi su 10



Una nuova cura per la leucemia fulminante dà speranza a 9 malati su 10. La terapia è stata ideata da Francesco Lo Coco, ordinario di Ematologia a Roma

La ricerca italiana premiata a livello europeo. Il professore Francesco Lo Coco, classe 1955, ordinario di Ematologia all’Università di Roma Tor Vergata, ha ricevuto il José Carreras Award, premio per l’ematologia assegnato al Congresso della Società europea di ematologia-Eha. Il suo merito? Aver trovato una cura efficace per la leucemia fulminante.

La procedura messa in atto da Lo Coco e dal suo team consente la guarigione nel 90% dei casi, senza il ricorso alla chemioterapia. La cura abbina acido retinoico e triossido d’arsenico, un mix che colpisce le cellule tumorali ma risparmia quelle sane.

Scopriamo insieme di più.

Leucemia fulminante: cos’è

La leucemia fulminante è nota in ambito medico con il termine leucemia acuta promielocitica. Si tratta di un sottotipo di leucemia mieloide acuta ed è il più aggressivo dei tumori del sangue. La causa è da individuare in una traslocazione – una aberrazione cromosomica, che scambia parti di cromosomi non omologhi – tra i cromosomi 15 e 17. Si tratta di una ricollocazione acquisita e quindi non presente alla nascita.

La malattia sorge improvvisamente (da qui l’appellativo di fulminante). Si può presentare sotto forma di forti emorragie, dovute alla riduzione del numero di piastrine e alla mancata coagulazione del sangue. Ad oggi, tra il dieci e il venti per cento dei pazienti sperimenta emorragie fatali, per esempio a livello cerebrale, ancor prima di ricevere una diagnosi di leucemia.

La malattia è piuttosto rara. Colpisce in Italia circa 150 persone in un anno, in genere tra i 35 e i 40 anni, indipendentemente dal sesso.

La cura per la leucemia fulminante del professor Lo Coco

La cura del professor Lo Coco è una speranza per molte persone. Anche perché fino a pochi anni fa le possibilità di sopravvivenza si fermavano al 40% dei casi. Una percentuale oggi più che raddoppiata.

«La leucemia promielocitica – spiega Lo Coco – ha origine dalla crescita incontrollata dei promielociti, progenitori dei globuli bianchi. Invece di ‘diventare grandi’ come normalmente avviene nel midollo osseo, queste cellule si accumulano in forma immatura determinando anemia e frequenti emorragie. La malattia può insorgere in modo improvviso e spesso ha un decorso aggressivo, a volte fulminante per via delle gravi emorragie interne: senza una diagnosi rapida e accurata, e in assenza di terapie adeguate, ancora oggi questo tumore può avere esito fatale in poche ore o in pochi giorni».

Grazie alle scoperte del professore e del suo team, le speranze di sopravvivenza alla leucemia fulminante sono radicalmente incrementate. In un primo momento, la cura di Lo Coco era una combinazione di acido retinoico, un derivato della vitamina A, e chemioterapia: il tasso di guarigione era così stato già portato al 70-80%.

La svolta definitiva è stata l’eliminazione della chemio e l’introduzione del triossido di arsenico. “Ora siamo arrivati a oltre il 90% senza chemio”, spiega il professore.

Le sostanze impiegate funzionano in maniera complementare. Il triossido di arsenico riduce la morte cellulare delle cellule tumorali (detta apoptosi). In contempo, l’acido retinoico completa il percorso di differenziazione cellulare dei promielociti, precursori dei globuli bianchi.

«Con una ricerca italiana, accademica e indipendente – commenta Lo Coco – siamo riusciti a fissare un nuovo standard terapeutico determinando l’approvazione in Usa e Ue, da parte di Fda ed Ema, dell’arsenico in prima linea».

Il premio

La ricerca di Lo Coco e del suo team che ha introdotto la nuova cura per la leucemia fulminante è stata pubblicata nel 2013 sul New England Journal of Medicine. Oggi quella ricerca riceve il José Carreras Award, istituito nel 1999 e voluto dal tenore spagnolo di cui porta il nome. Lo stesso Carreras si è ammalato di leucemia nel 1987 e sottoposto a trapianto di midollo osseo l’anno successivo.

Decise quindi di assegnare il riconoscimento per premiare i successi dell’ematologia moderna.

«Accolgo con onore questo riconoscimento – ha commentato Lo Coco – come una nuova e prestigiosa conferma del valore dell’ematologia italiana: per produzione scientifica siamo primi nel Paese, secondi nel mondo dietro agli Stati Uniti, e negli anni siamo stati premiati a livello internazionale con grande continuità»

Un appello per la ricerca italiana

Il riconoscimento al ricercatore italiano è anche l’occasione per fare il punto sullo stato del mondo medico e scientifico in Italia. Un’eccellenza da stimolare e finanziare, come forse non è ancora stato fatto finora:

«In Italia – commenta Lo Coco – pare che tutti ne siano consapevoli. Tutti lo dicono, e tuttavia nessuno vara provvedimenti volti a canalizzare i rivoli di microfinanziamenti secondo logiche di merito decise da una regia coordinata».

Il professore ricorda la propria esperienza all’estero, come caso purtroppo raro di chi ritorna in Italia per far fruttare la ricerca scientifica nazionale:

«Nella mia carriera ho fatto un’importante esperienza all’estero. Per 2 anni mi sono formato alla Columbia University di New York. Pur avendo la possibilità di fermarmi negli States, sentivo che avrei potuto fare carriera e buona ricerca anche in Italia. Così è stato, anche se gli sforzi necessari a emergere furono di gran lunga maggiori di quelli che avrei dovuto fare negli Usa. Non mi riferisco alla quantità di lavoro, ma allo spreco di energie che ci costa la lotta contro stupidi legacci burocratici, penuria di mezzi e mancanza di organizzazione».



FONTE
view post Posted: 6/11/2019, 10:24 Riduce l’ansia del 65%. Ecco la canzone più rilassante al mondo dei Marconi Union - Psiche e benessere

Riduce l’ansia del 65%. Ecco la canzone più rilassante al mondo dei Marconi Union




violino




Ridurre l’ansia non è semplice, è uno dei più grandi problemi della nostra società moderna, va di pari passi con lo stress. Che a riuscirci possa essere una sola canzone?

Pensate che una ricerca recentemente pubblicata dai ricercatori dell’Università di Harvard ha scoperto che i problemi causati dallo stress e dall’ansia causano più morti rispetto al diabete e ad alcune malattie .

Possono capitare episodi legati all’ansia ma quando la situazione diventa cronica dobbiamo intervenire. In una società competitiva e individualista come quella attuale gli attacchi di panico, le crisi respiratorie causate dall’ansia possono essere frequenti.

Le soluzioni che possiamo utilizzare possono essere molteplici e non sempre danno buoni, c’è chi pensa anche ai farmaci ma nel lungo periodo non solo la risposta migliore. Possiamo usare dei rimedi naturali , degli oli essenziali, curare la nostra alimentazione , oppure possiamo usare la musica.

Alcuni studi di neuroimmagini hanno dimostrato che la musica agisce a livello più profondo nel cervello, stimolando le aree a cui generalmente non abbiamo accesso razionale e che sono collegate alle risposte emotive .

La canzone più rilassante al mondo

Un team di ricercatori di Minlab International ha studiato quali possono essere le canzoni che aiutano a controllare e combattere l’ansia. Questi neuroscienziati hanno scoperto che una canzone particolare dava risultati straordinari poiché le persone mostravano una riduzione del 65% dell’ansia .

Per raggiungere queste conclusioni, è stato selezionato un gruppo di volontari e ha chiesto di completare una serie di enigmi, un compito che doveva essere completato in un tempo molto breve. Il test è stato specificamente progettato per generare stress. Successivamente, i partecipanti hanno ascoltato diverse canzoni mentre i ricercatori hanno monitorato la frequenza cardiaca, la pressione sanguigna, l’attività cerebrale e la frequenza respiratoria, cercando segnali che indichino una diminuzione del livello di stress.


La canzone in questione è di Marconi Union, un trio inglese che lo ha intenzionalmente composto per promuovere uno stato di rilassamento.




Questa canzone è così speciale perché inizia con un ritmo di 60 battiti al minuto e gradualmente diminuisce fino a 50. Quando ascoltiamo e ci concentriamo sulla musica, il nostro cuore “si sintonizza” con questi ritmi. Altrettanto importante è il fatto che la canzone dura otto minuti, poiché questo processo di sincronizzazione fisiologica richiede circa cinque minuti, quindi una traccia più breve non avrebbe lo stesso effetto rilassante.

La melodia è composta in modo tale da permettere al cervello di disconnettersi completamente, dal momento che non ha bisogno di rimanere sveglio per anticipare la nota successiva.

Invece di alti e bassi continui, compaiono campane che inducono in modo casuale una sensazione di rilassamento ancora più profondo. L’elemento finale è il suono più basso, come un sussurro, un ronzio, come nei canti buddisti.


FONTE
view post Posted: 26/10/2018, 12:20 Gli Eletti - The children of ligth: i "Figli della Luce"
In che senso non s possono mettere? credo di aver capito..forse.....poi ti spiego al telefono....e quali pagine sono cancellate?:(
view post Posted: 19/10/2018, 12:23 Gli Eletti - The children of ligth: i "Figli della Luce"
Dea vedo che ti manca avatar :( il tuo l'avevo memorizzato e conservato ma mi sà sta tutto a casa ad avellino mo provo se riesco a trovarlo in altro modo...
view post Posted: 19/2/2018, 10:55 Cosa sono le Comunità Terapeutiche? Che finalità hanno? - Legislazione di Servizio Sociale

Comunità terapeutica



La comunità terapeutica nasce, sin dalle origini, come aperta critica all'istituzione totale ed è configurabile come un'organizzazione la cui principale finalità è la modificazione del comportamento e il recupero di persone deviate dalla norma sociale



Origini del termine

L'espressione comunità terapeutica viene riferita a Thomas Main che, nel 1946, descrivendo il lavoro degli psichiatri britannici di Northfield (Inghilterra), si riferì all'ospedale in cui operavano, con il termine “comunità terapeutica”. Tale vocabolo fu ufficializzato nel 1953 dall'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), in uno studio sulle organizzazioni psichiatriche internazionali, in cui si suggeriva l'opportunità di trasformare gli ospedali psichiatrici in "comunità terapeutiche".

Storia

La prima comunità terapeutica fu creata nel 1952, in Inghilterra, dallo psichiatra Maxwell Jones, con l'obiettivo di far partecipare i pazienti, e quindi responsabilizzarli, nella gestione dell'istituzione psichiatrica in cui erano ospitati.

L'idea era quella di trasformare una rigida organizzazione gerarchica, in cui i rapporti erano di tipo “verticale”, in una organizzazione “orizzontale” con un rapporto paritario fra gli utenti e gli operatori sanitari.

In Italia

Una delle prime sperimentazioni di comunità terapeutica in Italia, fu attivata da Franco Basaglia nei primi anni sessanta nell'ospedale psichiatrico di Gorizia.[4][5][6] Il concetto di questo psichiatra, per l'epoca innovativo, era il rifiuto dell'istituzionalizzazione come unico metodo di cura e di recupero del malato psichiatrico.

Dall'esperimento iniziato da Basaglia nel 1962 si arrivò, circa 15 anni dopo, alla legge 180/78 (detta anche Legge Basaglia) che prevedeva la trasformazione dei cosiddetti "manicomi" in luoghi di cura non più reclusivi.

Dopo la Legge 180/78 le comunità terapeutiche si sono moltiplicate su tutto il territorio italiano, operando non solo nell'ambito psichiatrico, ma anche nei settori della devianza, della tossicodipendenza e del disagio sociale.[8]

Metodi terapeutici

Un elemento essenziale del metodo di cura è lo stretto rapporto che si stabilisce fra il personale e gli utenti che partecipano al lavoro e alle attività della comunità, contribuendo inoltre alle decisioni che li riguardano. L'aspetto caratteristico di questo metodo è il tentativo di creare e di mantenere il senso della comunità fra gli utenti e il personale. Altri aspetti del metodo sono rivolti alla psicoterapia individuale, alla terapia di gruppo e a tutte le altre attività relative al gruppo.

Luigi Cancrini, dissertando in materia di “catena terapeutica”, giunge alla seguente conclusione:

«Se i percorsi per arrivare alla droga sono diversi, diversi risultano i percorsi per uscirne».

Apertura sociale e coinvolgimento nella comunità[modifica | modifica wikitesto]
La comunità induce nella persona un modo di “agire” diverso, ciò al fine di far accettare, in seguito, il sistema di convinzioni e di valori entro cui le sue azioni si esplicano e si riflettono.

Il comportamento degli utenti più anziani e degli operatori, spinge in modo intensivo il nuovo arrivato nel gruppo a:

-comportarsi in conformità alle norme della comunità;
-avere fiducia negli altri;
-parlare dei propri problemi ed angosce;
-lasciarsi coinvolgere come membro attivo della comunità.

Il cambiamento di atteggiamento, da solo, non è un indice di trasformazione della persona ma conduce il soggetto nella giusta direzione di un processo sociale e di una cultura della comunità.

Lo stile di apertura sociale della comunità prevede che le persone:

-agiscano apertamente;
-siano coinvolte;
-siano più responsabili, anche nel momento in cui dovessero sentire una maggiore chiusura o passività.

Di fronte al comportamento problematico della persona che lo sta esprimendo, la cultura della comunità motiva, guida e richiede agli utenti e agli operatori, di esporsi e di assumere di fronte ad esso un atteggiamento finalizzato a produrre un cambiamento.

Nella comunità si possono rinvenire tre gruppi di atteggiamenti:

-elevata apertura sociale iniziale (generalmente si tratta di persone che hanno già avuto precedenti esperienze di vita comunitaria) per cui la terapia comunitaria può portare ad una buona ripresa;
-apertura sociale in aumento dopo alcune settimane di stasi, in questi casi un'eventuale ricaduta tende ad avere un ---esito comunque buono, anche se intervallato con periodi occasionali di scompenso;
apertura sociale in costante decremento, le ricadute possono avere un esito sfavorevole con difficoltà alla piena ripresa dell'attività sociale.

Modelli ed aspettative

I modelli che caratterizzano la vita di comunità, possono essere esemplificati in alcune modalità che comportano:

la ricerca di una simil-esperienza di rinascita;
la pedagogia della relazione attraverso un'analisi del rapporto tra i vari ospiti e il feedback comportamentale del singolo;
il rispetto per se stessi e per gli altri;
proporre dei percorsi personalizzati a partire dallo specifico disagio avvertito;
favorire la gradualità dei comportamenti adattivi e delle social cognition;
assegnare un valore alla quotidianità;
facilitare l'assunzione delle proprie responsabilità.
Le aspettative di chi entra in comunità sono costituite principalmente dalla ricerca di una esperienza che possa permettere di sentirsi nuovamente "padroni di se stessi", a volte anche dubitando fortemente che ciò sia possibile.
L'iter prevede che l'aspettativa dell'utente si confronti con le aspettative degli altri ospiti e degli operatori, ciò dovrebbe consentire al soggetto di poter difendere il sentimento di identità personale e di stabilire fra sé e gli altri, quindi tra interno ed esterno, una linea di confine.
Nello stesso tempo, però, entrare in relazione con gli altri comporta una rinuncia a quello che Donald Winnicott chiama il controllo onnipotente sulla paura di dissolversi e l'angoscia di rimanere frammentati o scissi, nel tentativo di includere altre realtà nel proprio mondo inconscio.
In questa continua tensione e lotta interiore, il gruppo può svolgere una funzione di mediazione tra il sistema di valori ideali che la collettività avanza nei confronti del singolo e costituirsi come filtro tra le norme della collettività e l'elaborazione che il singolo può realizzare nella sua vita quotidiana.

I principi fondamentali della comunità terapeutica sono basati sui rapporti di:

Democrazia (non applicabili a tutti i contesti)
Permissività (non applicabili a tutte le tipologie di comunità)
Confronto con la realtà, un modello che implica un rapporto con l'utente basato sulla costante indicazione di come il suo comportamento venga vissuto dagli altri.

Comunitarietà, un concetto che presuppone la necessità di:

favorire la comunicazione;

facilitare la partecipazione di tutti i membri;

offrire la condivisione degli obiettivi sia da parte degli operatori che degli ospiti.

La Comunità terapeutica implica la definizione di alcuni aspetti comuni fra utenti ed operatori:

Alleanza tra il singolo paziente e lo staff degli operatori;
Comunità intesa come luogo in cui creare verifiche dinamiche per utilizzarle come fattore di trasformazione;
Mandato sociale, inteso come compito della Comunità di curare e rieducare l'individuo;
Mandato terapeutico, nel senso di consentire all'individuo l'acquisizione di una identità sana e adulta, la capacità di sapersi distinguere dagli altri e di ritornare nel contesto sociale, dotato di maggiori competenze, abilità e soft skills, rispetto a quando è entrato nella comunità terapeutica.


Wikipedia

view post Posted: 19/2/2018, 10:35 Tu solo ce la puoi fare ma non ce la puoi fare da solo - Dipendenze

UN AIUTO PER CONOSCERE, CAPIRE E CONDIVIDERE





Droga:

Accorgersi che…

Non è facile per una famiglia accorgersi in tempo che il proprio figlio, il proprio fratello, o il marito, la moglie, il nipote… ha iniziato a far uso di droga. È ancora più difficile poi accettare l’idea che questo sia avvenuto.

Purtroppo le famiglie che decidono subito di consultare qualcuno che sappia suggerire il giusto comportamento sono relativamente poche. Per disinformazione, per vergogna o per sbagliato senso di protezione, per sopravvalutazione delle proprie forze o sottovalutazione del problema passa purtroppo un lungo periodo prima che qualcuno della famiglia decida di chiedere aiuto e consigli fuori dalle mura domestiche. Così come già è passato un altrettanto lungo periodo prima che il problema della droga venisse affrontato dentro le mura domestiche.

Aiutare vuol dire comprendere, ma comprendere non vuol dire farsi ingannare; bisogna sempre ricordare che il tossicodipendente è un soggetto che crede talmente nelle bugie che si racconta da riuscire a convincere anche gli altri delle stesse bugie. Egli riuscirà a coinvolgere nelle sue contraddizioni e nel suo star male chiunque vive intorno a lui. Prometterà di smettere e non smetterà mai, riuscirà a farsi compatire per ottenere denaro, riuscirà a minacciare ed a spaventare, manipolerà la realtà modificandola a suo piacimento, con ricatti morali più o meno espliciti del tipo “se non mi aiuti vado a rubare e finisco in carcere” riuscirà sempre ad ottenere ciò che egli vuole. E cioè il denaro sufficiente per comperarsi la dose.

Dal momento della scoperta della tossicodipendenza inizia una odissea della famiglia con tappe ricorrenti:

1) Il tossico confonde le idee ai genitori con la promessa di smettere, se sarà aiutato a disintossicarsi lentamente. Quindi dà inizio alla richiesta di denaro per comprare la droga con cui, in teoria, egli dovrebbe lentamente scalare il consumo fino a smettere.

2) Dopo ripetuti tentativi non riusciti, perché in lui non vi può essere né l’esplicita volontà di smettere, né la determinazione necessaria a farlo, egli colpevolizza la famiglia o chi gli sta intorno di non averlo sufficientemente “aiutato”. Chiede allora altre soluzioni. Ad esempio: un periodo di vacanza per stare lontano dalle tentazioni, l’aiuto economico per sposarsi, metter su casa e mettere la testa a posto, il denaro per mettere in piedi una attività in proprio o un lavoro che sia per lui meno alienante e frustrante, l’affitto di una casa in campagna per ricominciare là una vita, il denaro per certe particolari cure sanitarie, e via di seguito.

Inutile dire che non mantiene nessuno degli impegni assunti e spende ogni soldo nell’acquisto di droga o in imprese senza senso.

3) A seguito dei ripetuti fallimenti torna a casa chiedendo ospitalità e mostrandosi disperato.

Inizia così il suo periodo più parassitario: sempre chiuso in camera sua si alza dal letto in tarda mattinata, mangia poco, inizia a bere alcoolici, se esce la sera torna tardi a casa, trascorre ore ed ore davanti al televisore, tenta di chiedere qualche soldo, viene comunque mantenuto in tutto, anche nell’acquisto delle sigarette. È una presenza inquietante ed oppressiva; a tavola non parla mai ad eccezione di qualche raro momento di euforia quando è riuscito a procurarsi e ad assumere la droga o quando è riuscito in qualche sua impresa.

Inizia l’assunzione di pillole di ogni tipo, magari consigliate da qualche medico sprovveduto o compiacente. Inizia la sparizione di denaro da casa, di oggetti preziosi, di piccoli elettrodomestici, di libri, soprammobili, e quanto altro si possa vendere senza troppa fatica.

Iniziano anche le liti tra i vari membri della famiglia che si colpevolizzano reciprocamente di quanto accade. “La colpa è tua che gliele hai sempre date tutte vinte”, “La colpa è tua che sei sempre stato troppo severo” e così via fino a quando le tensioni non si scatenano furibonde, con violenza, botte, ricatti espliciti, vere e proprie rapine da parte del tossico ai danni della famiglia.

4) La rottura è allora irrimediabile; il tossico viene allontanato da casa, oppure viene arrestato o finisce in ospedale ed inizia l’attesa angosciante del ritorno. Lunghe serate di silenzio, pianti, paure in una atmosfera che sembra non poter più trovare pace. La speranza di vederlo tornare fa sì che quando egli si ripresenta venga accolto. Viene nuova mente riposta in lui la fiducia, non tanto di vederlo cambiato ma “che almeno non faccia altre pazzie”. Il fatto di vederlo tornare sembra essere un segnale positivo; non si comprende infatti che il tossico è un parassita che torna sempre dove pensa di trovare una porta anche solo socchiusa.

5) Tale storia non ha fine poiché si ripete sempre uguale. È l’angoscia che la rende sempre vera e diversa per chi, suo malgrado, la vive e la subisce. Oppure può avere qualche tragico epilogo. Oppure può essere radicalmente ribaltata se la famiglia sceglie di rivolgersi a qualcuno che la sappia guidare e si lascia guidare da chi può aiutarla.

La prima volta che…

La prima volta che un adolescente assume droga lo fa per una serie di circostanze che intervengono contemporaneamente:

-vive una condizione di disagio

– in famiglia non ha occasioni per esprimere il suo malessere

– incontra qualcuno tra i suoi amici che, in una festa, ad un concerto rock, in discoteca gli chiede: “Hai delle cartine?” e, subito dopo, “Non fa niente, lascia stare”. La frase a lui apparirà misteriosa ed attraente perché sembra provenire da un mondo che non conosce, suggestivo per le possibilità intuite ma non verificate, che lo attirano perché gli sembrano un passo avanti rispetto alle sue esperienze.

Vediamo i perché:

1) dentro di se vive da tempo un senso di insoddisfazione, poiché non riesce ad ottenere successo nelle mete che si era prefisso, oppure noia, poiché non si impegna in qualcosa che lo entusiasma, oppure frustrazione per delusioni subite o perché si sente inadeguato nei confronti del mondo dei suoi amici, oppure perché sta sperimentando la solitudine, ovvero non riesce ad uscire dalla sua chiusura interiore e comunicare ad altri i suoi pensieri e le sue emozioni.

2) non ha occasioni di esprimere il malessere in famiglia o perché i genitori sono indifferenti ai suoi umori interiori o perché sono preoccupati solo per la sua salute fisica o solo per i suoi risultati scolastici, o perché sono talmente preoccupati che lui sia “felice” che gli è impossibile comunicare un malessere interiore così impreciso ed inspiegabile che egli preferisce fingere che tutto vada bene.

Oppure perché non ha intorno una famiglia nel vero senso della parola: vuoi perché mancano obiettivamente alcune figure genitoriali (per morte o lontananza) e non c’è nessuno che le sostituisca anche solo simbolicamente. Forse perché le figure genitoriali non sono mai in sintonia tra di loro e non producono mai un clima di sintonia per il figlio (separati, divorziati, o anche “separati in casa”), forse perché non riescono a compiere i diversi passaggi di rinnovamento che la crescita dei figli impone alla dimensione familiare.

3) Perché avvenga il primo contatto con la droga occorre che un giovane si trovi di fronte a qualcuno “così generoso” da offrirgliela gratuitamente.
In genere una nuova conoscenza o un vecchio amico rincontrato dopo un po’ di tempo che ne ha sperimentato gli effetti ma non ne conosce o ne sottovaluta la pericolosità, quasi mai uno spacciatore. Per questo la prima volta è sempre gratuita. Il ragazzo può altresì essere condizionato dai compagni, dalla paura di “perdere i punti” di fronte a nuovi amici o di sentirsi escluso. E non sa dire di no.

Da parte di un ragazzo o di una ragazza particolarmente timido può sembrare un buon modo di stabilire una intesa con qualcuno dell’altro sesso da cui si è attratti. L’uso di droga appare un modo per ottenere maggiore intimità, per essere trasgressivi insieme ed avere una complicità comune. La paura e l’incapacità di dominare la forte emozione di stabilire un rapporto con la persona da cui si è “presa una cotta” può essere molto più forte della prudenza e dei consigli ricevuti da genitori ed insegnanti.

La prima volta in genere è uno spinello, ma può essere anche un “tiro” di cocaina. Quando l’innamoramento è di un tossicodipendente da eroina è praticamente scontato che la droga divenga il tramite principale del rapporto.

Gran parte degli ambienti del mondo giovanile sono infiltrabili dalla droga ma, per fortuna, la prima assunzione non è sufficiente a far saltare il fosso e consegnare un giovane alla disgraziata carriera di tossicodipendente. Spesso la prima volta non vengono riconosciuti gli effetti piacevoli ma solo avvertite sensazioni negative perché il soggetto non è ancora avvezzo a riconoscerli.

Di certo la prima volta segna un passaggio che per alcuni giovani insoddisfatti esistenzialmente ha il sapore di sfida nei confronti dei genitori e degli adulti; per altri privi di fondamenta valoriali ha il sapore di trasgressione nei confronti di una realtà considerata piatta, perbenista e noiosa; per altri ancora, prigionieri della propria solitudine, ha il sapore della adesione ad un ambiente percepito come ricco di emozioni e con intense possibilità comunicative.

“Accorgersi in tempo” significa riuscire ad intervenire sul giovane prima che egli abbia ripetutamente assunto droga.

Fino a questo momento è possibile che egli stesso avverta il rischio che sta correndo e se, in questa occasione, vengono alla luce in famiglia i problemi profondi di comunicazione e di dialogo l’esperienza della droga potrebbe fermarsi a questo punto ed il rapporto con i genitori, scossi e stimolati dal pericolo, divenire intenso.

Ma se permarranno le condizioni di solitudine e di immaturità che hanno reso possibile questo primo contatto con la droga il giovane sarà tentato, alla prima difficoltà, a ricercare quel “qualcosa”, non sperimentato pienamente ma intuito, che gli è apparso come una risposta al suo disagio.

Ed è a questo punto che entrano in gioco gli specifici effetti delle sostanze.

Come accorgersene

La droga non è un fulmine a ciel sereno ma un malessere che cova da tempo dentro il giovane e che, a un certo punto per una serie di circostanze concomitanti, viene messo a tacere attraverso l’uso di droga. Proprio per questo è importante che la famiglia presti particolare attenzione ai comportamenti del figlio, specialmente se lo vede chiuso ed introverso, timido o assente, affinché, attraverso il dialogo e l’espressione del suo disagio, possa comunicare ciò che gli passa per la mente e possa liberarsi delle sue paure sentendosi parte di un ambiente che lo protegge e che comprende ciò che lui vive. La famiglia deve essere presente nelle scelte di amicizie del figlio per vigilare su quanto avviene tra i ragazzi e per non lasciarli soli a se stessi. Se tra genitori e figli vi è un buon rapporto di reciproca comprensione e confidenza sarà automatico per il genitore capire se c’è qualcosa che non va e prevenire l’esposizione del figlio ad esperienze destabilizzanti.

Se però la droga è già entrata nella sua vita occorre saperla riconoscere per i comportamenti che induce:

– gli spinelli: occhi molto arrossati, spesso pupille dilatate, senso di euforia e “ridarella” anche per cose da nulla, “stonatura mentale” (ovvero pesantezza del ragionamento), estrema sensibilità nei confronti di quanto avviene intorno, sensibilità alla musica (grande turbamento emozionale e trasporto nell’ascolto), senso del tempo modificato (possono passare ore senza che lui si accorga del loro fluire), sensibilità ai colori, senso di stupore per le cose che accadono, linguaggio pasticciato con numerosi lapsus, grande difficoltà a leggere ed a memorizzare quanto letto (giunto alla fine di una frase non ricorda quanto vi era scritto perché a metà strada si è perso nei suoi pensieri), una impressionante serie di distrazioni che causano danni o incidenti;

– l’eroina: pupille molto strette, a “capocchia di spillo” come per l’esposizione ad una luce molto intensa, palpebre che tendono a chiudersi, un ricorrente grattarsi per frequenti e diffusi pruriti, pallore nel viso, intristimento dei tratti, aria ebete, difficoltà e lentezza nel parlare con tono monotono e tendente al biascicamento incomprensibile delle parole. Il tossico “fatto” di eroina ha la testa a ciondoloni verso il basso come se stesse per addormentarsi, continua ad accendere sigarette che non fuma ma lascia consumare riempiendo ovunque di cenere e bruciando i vestiti o le lenzuola. Ha una generale inappetenza, ma una incredibile attrazione per gli alimenti dolci, budini, creme fino al consumare lo zucchero a cucchiaini;

– la cocaina: pupille dilatate e poco sensibili alla luce, senso di eccitazione fisica e tendenza al movimento ed alla iperattività. Il tossico sotto l’effetto della cocaina ostenta sicurezza e buonumore; ha bisogno di parlare senza aver niente da dire e senza ascoltare ciò che dicono gli altri; ha molta difficoltà ad addormentarsi perché la cocaina lo induce in stati di continua eccitazione.
Sarà incline alla prepotenza, alla violenza ed alla sopraffazione. La sua artificiale sicurezza lo porterà alla megalomania ed a sogni di grandezza;

– gli psicofarmaci: limpidezza degli occhi, pupille che hanno scarsa sensibilità ai cambiamenti di luce, torpore ed annebbiamento mentale, difficoltà nel connettere diversi pensieri tra di loro, lingua “impastata”, sonnolenza e senso di “snervamento”, monotonia del tono di voce sempre poco acuto, chiusura in se stessi e debole percezione di sentimenti ed emozioni e scarsa comunicazione degli stati d’animo vissuti.

Perché la droga?

Il problema non è la droga ma l’uomo che ricorre ad essa per compensare un vuoto interiore a cui non riesce a dare risposta. L’uso di sostanze psicoattive è una risposta surrogata e palliativa al bisogno di sperimentare stati d’animo e di mente che un uomo, in specie se giovane adolescente, non ha ancora avuto la possibilità di attivare dentro di se attraverso il pieno sviluppo delle sue capacità esistenziali e relazionali.

L’uso di droga è originato dalla povertà interiore che rende la persona incapace di “sentire” le emozioni degli altri che gli stanno intorno, di attivare risorse emotive dentro di se, o di contenere le emozioni che vive senza debordare o travalicarne il significato.

Quando un giovane non è in grado di socializzare con altri con semplicità e con il gusto del divertimento cercherà la “ridarella” o lo “sballo” negli effetti indotti in lui dall’hashish o dalla marijuana;

quando un giovane non saprà ottenere la pace interiore mediante la riflessione o la capacità di distanziarsi dalla realtà come nei momenti di meditazione o di preghiera, cercherà questi effetti nell’eroina; quando soffrirà per il sentirsi inadeguato e complessato cercherà la pienezza ed il senso di potenza nella cocaina; quando non riuscirà a fare calma dentro di se dovrà ricorrere ad un ansiolitico; quando non riuscirà a prendere sonno si abituerà all’uso dei sonniferi, ecc.

Ma una volta sperimentati artificialmente taluni umori e stati d’animo e di mente, sarà sempre più difficile ritrovare la strada per riuscire da solo ad entrare in tali dimensioni. Le sostanze diventano così un circolo vizioso che ha spire sempre più strette.

L’incapacità di vivere pienamente emozioni e sentimenti, di riconoscerli dentro di se e divenirne padroni chiude le persone in una grande solitudine.

Se ad un uomo in tale solitudine offriamo una sostanza chimica capace di cancellare, anche per un breve periodo, la sensazione di profondo ed inesprimibile dolore che accompagna la solitudine interiore lo avremo fatto schiavo di tale sostanza.

Se ad un uomo in tale solitudine dimostreremo che sentiamo ciò che sente lui, che siamo come lui, impastati della stessa pasta, prigionieri degli stessi limiti, allora avremo vinto tale solitudine.

Come la famiglia può aiutare il tossicodipendente

Prima di tutto bisogna entrare nell’ordine di idee che il problema della droga non si può risolvere ed eliminare in breve tempo ed estirpare una volta per tutte. Non è un dente che fa male e che può essere estratto, non è un debito che si può pagare ed estinguere, non è un oggetto che si può comperare e possedere. Le parole “per sempre” o “mai più” sono escluse dal vocabolario di chi si impegna per risolvere il problema della droga con qualcuno.

Questo atteggiamento non vuole assolutamente dire “rassegnarsi” ed accettare il compromesso di un “modus vivendi” con i tossicodipendenti. Al contrario significa essere consapevoli che la lotta alla droga e il recupero è un lavoro lungo e paziente i cui risultati si vedono dopo molto tempo.

Per questo motivo bisogna agire con determinazione e lungimiranza preparandosi a ripetute delusioni ma con la convinzione che alla fine si avrà sicuramente successo.

Ecco perché non servono soluzioni emotive; è inutile agitarsi molto nella speranza di pervenire ad un risultato immediato per cadere nella frustrazione quando questo risultato non c’è.

Per un genitore è invece importante domandarsi: “Quanto davvero conosco mio figlio? Per quanto tempo mi sono fermato su una immagine sbagliata che avevo di lui?” E cominciare ad osservarlo con altri occhi. Con la vigile attenzione di chi vuole riscoprire profondamente la persona con cui vive sapendo che è molto diversa da come lui immagina.

Occorre poi fin dall’inizio accettare l’idea che, se si vuoi vincere la battaglia contro la droga, bisogna rinunciare a molte altre cose. Ogni famiglia coltiva i suoi sogni e tende a raggiungere alcuni obiettivi che si era prefissa: la seconda macchina più grande, cambiare casa per avvicinarsi al posto di lavoro, la casa in campagna da comprare o da ristrutturare, le vacanze al mare, alcune abitudini e divertimenti (andare alla partita o giocare a carte,…). Spesso per ottenere queste cose è necessario che lavorino sia il marito che la moglie; la contemporanea assenza da casa crea un vuoto obiettivo che è assolutamente necessario colmare per non lasciare solo il ragazzo. Ma la situazione di all’erta che si verifica al momento della scoperta che la droga è entrata nella propria casa spesso richiede di azzerare il tutto. Non per sempre, ma almeno per il lungo periodo in cui occorre dedicare il massimo di attenzione al proprio figlio. È l’intera vita familiare che deve riorganizzarsi sapendo che il problema del figlio non potrà mai essere delegato a nessuno.

Molte famiglie che non hanno posto la dovuta attenzione alla droga e l’hanno affrontata con superficialità sono cadute in un vortice di disperazione e di crisi che le ha costrette a dar fondo a tutte le loro risorse morali, fisiche ed economiche e sono state costrette a vendere non solo la seconda casa, conquistata con grandi sacrifici, ma anche la prima per far fronte ai debiti del figlio.

La battaglia contro la droga

Anche se il proprio figlio è già tossicodipendente e la situazione è già grave non bisogna mai perdere la speranza di poterlo recuperare. Non esistono “casi impossibili” ma solo problemi a volte molto difficili.

Spesso la cosa più difficile è ridare energia e speranza a famiglie che hanno provato molte strade ed hanno bussato a molte porte e si presentano completamente distrutte da anni di delusioni, inganni, frustrazioni, violenze, hanno visto infangare ciò a cui tenevano di più, hanno visto infrangersi tutti i loro sogni, vivono una quotidianità di angoscia, di sofferenza, di paura… e spesso si lasciano andare nella rassegnazione.

Se emerge la disperazione vuoi dire che ha già vinto la droga.

La battaglia contro la droga è una sfida che vede vincere o soccombere sia il tossico che i suoi familiari. O i genitori sapranno trasmettere emozioni, sentimenti e insegnamenti positivi al figlio o il figlio coinvolgerà loro nella sua negatività.

Se il figlio è già tossicodipendente da tempo è probabile che la famiglia sia già coinvolta ed incapace di orientarsi; i segnali più ricorrenti si riscontrano nelle seguenti dichiarazioni:

– “Nostro figlio non è come gli altri, è un tossicodipendente tutto particolare e le cose che fanno gli altri lui non le fa. Lui è come se fosse ancora un bambino e si lascia coinvolgere”

– oppure: “Le ragioni del fatto che nostro figlio si droga sono molto chiare; fin da piccolo faceva…; poi crescendo ha incontrato…; anche il dottore dice che…; (mostrando cioè una lunga serie di convinzioni infondate)

– oppure: “La nostra è una famiglia disgraziata contro cui si è accanito il destino; stavamo tanto bene prima di… (e racconta l’episodio ritenuto scatenante della frana familiare; ad esempio il trasferimento in altra città, una crisi economica, la ex fidanzata che ha lasciato il figlio, ecc.)

– oppure: “Non ci è mai voluto stare a sentire e non ha mai voluto diventare quello che gli dicevamo di essere”

– oppure: “Non è un tossicodipendente vero e proprio; ora è un mese che non si fa, prende solo alcune pillole. L’anno scorso è stato mesi senza bucarsi e tre anni fa aveva smesso”

– oppure: “Il problema è che non ha lavoro, fino a quando lavorava non chiedeva soldi, tornava a casa presto, era sempre con noi. Il fatto è che ha un brutto carattere e quindi non riesce a sopportare di essere sfruttato ed è già la quarta volta che si fa licenziare”.

Queste frasi tipiche svelano il grado di invischiamento familiare e di incapacità di distanziarsi dal figlio e di ribaltare la situazione.

Mai da soli

Quando una famiglia è ormai sconfitta e rassegnata, oppure è talmente invischiata nelle contorsioni mentali del figlio da averle fatte proprie, ha bisogno di appoggiarsi a qualcuno che sappia dire la verità ed interpretare correttamente quanto avviene in casa.

“Tu solo ce la puoi fare ma non ce la puoi fare da solo” è una delle prime dichiarazioni che un tossicodipendente deve recepire quando vuole recuperarsi; infatti non potrà mai opporsi al desiderio della droga con la sua sola volontà perché non si può impostare una vita sulla base del difendersi o del “non volere” qualcosa. La vita ha senso solo quando si desidera, si cerca, e si trova qualcosa di positivo, di coinvolgente e di emozionante da intraprendere.

Per cambiare vita il tossicodipendente deve crescere nelle sue capacità, deve imparare a realizzarsi come persona e deve trovare il coraggio di aprirsi interiormente al gusto di emozioni e sentimenti molto più belli ed intensi di quelli sperimentati con la roba.

Ma questo lavoro di crescita e di cambiamento non può farlo da solo. Non può trovare contemporaneamente la forza di aprirsi alle emozioni e di chiudersi al desiderio della droga. Ha bisogno di avere a fianco altre persone che lo aiutino e lo sostengano nella sua scelta.

Lo stesso discorso vale per la famiglia invischiata nella tossicodipendenza del figlio; l’energia per sostenere il confronto quotidiano, l’orientamento nelle decisioni, il coraggio di non scendere a patti fino a trovare la forza di allontanare il figlio da casa quando, dopo aver tentato tutto, è necessario giungere alle estreme risoluzioni, possono essere attinti solo da qualcuno disponibile ad aiutare.

È indispensabile rivolgersi a qualcuno in grado di dare aiuto perché anche le persone più risolute e chiare non possono non cadere nella indecisione e nel disorientamento.

L’astinenza

Il tossicodipendente “va in astinenza” quando la droga ha finito il suo effetto ed egli sente il desiderio smanioso ed irrefrenabile di drogarsi. Egli cercherà dunque di assumere qualcosa che possa alterare le sue percezioni ed allontanare il fastidio di dover accettare la realtà per quello che è. Spariti però gli effetti anestetici e di sballo vengono a galla tutte le sensazioni che egli era riuscito a tenere lontano:

– quelle fisiche di malessere e di sofferenza che vengono vissute come dolori anche acuti, specialmente nella astinenza da eroina. L’eroina infatti ha protetto il tossicodipendente da tutte le percezioni interne ed esterne e quando queste ritornano a proporsi sembreranno dolori lancinanti.

Un comune mal di pancia sarà percepito come una colica da parte di chi ha avuto rallentate le funzioni fisiologiche della defecazione e della minzione. Il fatto di passarsi una mano tra i capelli sembrerà di strapparseli; una leggera brezza sulla pelle provocherà brividi di freddo ed una sensazione di pelle che si squama; anche respirare diventa una fatica e sembra aver perso l’automatismo e divenire volontario, con sbadigli per fame d’aria; e poi insonnia, dolori muscolari, naso che cola, dolori lombari, nevralgie, ecc.

È importante ricordare che questi dolori sembrano molto acuti al tossicodipendente in astinenza perché senza la droga non ha la capacità di sopportare nulla ed ogni sensazione per lui è iperacuta. In effetti il malessere della astinenza è essenzialmente un malessere mentale;

– quelle mentali. Più un tossico ha voglia di bucarsi più sente acutamente l’astinenza. Entrerà così in una spirale angosciosa che lo porterà al parossismo; qualunque tipo di intervento consolatorio lo esaspererà ed egli userà la sua astinenza e la sua tensione come strumento di ricatto, di pressione e di minaccia per trovare, in qualunque modo, la possibilità di drogarsi.

È importante ricordare che non si muore per astinenza e che la sofferenza fisica e mentale è la via obbligata per disintossicarsi. Questa sofferenza può essere lenita attraverso alcuni farmaci, con il grave rischio però che si aggiunga un’altra dipendenza a quella già esistente. Questo è il caso delle interminabili e ricorrenti scalette di metadone che altro non sono che un facile sostitutivo in momenti in cui è difficile riuscire ad assumere eroina. Il tossicodipendente è infatti portato a fagocitare tutto quello che gli capita tra le mani pur di entrare in uno stato comunque alterato.

Aiutare un tossicodipendente in astinenza non vuol dire compatirlo ma semmai esercitare su di lui una ferma autorità che lo sostenga e gli consenta di superare il malessere che vive. Non bisogna lasciarlo da solo nemmeno per un attimo, nemmeno in bagno, bisogna stimolarlo costantemente perché non vada troppo dietro ai suoi pensieri e le sue ansie, perché non caschi nelle nere depressioni conseguenti al verificare i molti fallimenti della sua vita e le svariate malefatte che, in ragione della riacquistata lucidità, gli appariranno in tutta la loro gravità.

Il cammino di recupero

Recuperarsi non vuol dire semplicemente smettere di drogarsi ma cambiare completamente l’organizzazione e lo stile della propria vita per trovare dentro di sé e con gli altri significati, gusti e motivazioni a vivere. La soddisfazione per un lavoro ben fatto, la tenerezza, la passione, la stima e la fiducia in se stessi costruita attraverso l’onestà e la coerenza, la fortezza per non farsi abbattere da momenti difficili, la fermezza e la prudenza, la capacità di raggiungere gli obiettivi che si è prefisso attraverso la metodicità e la perseveranza, la disponibilità a comprendere ciò che gli altri vivono e di condividere con altri i diversi momenti della vita.

Per una famiglia seguire il cammino di recupero di un figlio consiste in alcune importanti tappe:

– il primo passo è distanziarsi emotivamente dalla angoscia, dalle tensioni in cui la famiglia è stata invischiata dal figlio;

– il secondo passo è riflettere su se stessa orientandosi verso un progetto di recupero del figlio. È questo il momento delle scelte che debbono essere concordate tra tutti i membri della famiglia. Anche a prezzo di lunghe ed estenuanti discussioni deve essere ritrovata l’unità dell’agire comune affinché divenga possibile costruire un argine contro cui le manovre del tossicodipendente si infrangono;

– il terzo passo è seguire tutto il percorso di crescita e di cambiamento nel ragazzo. Egli deve imparare ad usare la lunga serie di virtù e di capacità che non conosce e non ha mai saputo usare.

È questo un impegno che richiede anni di attento lavoro poiché educare alla vita è molto più difficile che allevare nel corpo.
Non debbono essere mai fatte scelte affrettate ma ogni singola decisione (il lavoro, gli amici, la fidanzata, le vacanze, ecc.) deve essere vagliata poiché il tossicodipendente è abituato a “tutto e subito” come del resto ha imparato dagli effetti immediati delle sostanze psicoattive, e deve invece abituarsi a conquistarsi con fatica i risultati.

– il quarto passo è aiutarlo a reinserirsi nel mondo, senza scorciatoie o facilitazioni. Non bisogna né lasciarlo solo né opprimerlo quando si appresta a ricominciare una nuova vita nella società, ma invogliarlo ad essere un soggetto protagonista del suo destino che sa vivere una vita degna di questo nome.

Non debbono nemmeno spaventare le eventuali ricadute poiché esse non sono altro che segnali di una debolezza ancora non del tutto superata. Se un uomo sta crescendo ed orientandosi tra le mille contraddizioni del mondo e della vita già starà mostrando visibili segnali di questo nuovo orientamento ma, probabilmente, avrà ancora dentro di sé le molte indecisioni ed i molti turbamenti ereditati da un lungo periodo di vita trascorso dentro la droga, il suo mondo emarginante ed i suoi effetti.

Le prime cose da fare

Se la famiglia è riuscita ad accorgersi per tempo che il proprio figlio ha iniziato ad usare droga dovrà:

– affrontare risolutamente la questione droga con il figlio senza tentennamenti o paure per far uscire il massimo di verità possibile. Consapevoli che intanto non e venuta a galla tutta la verità.

– riorganizzare completamente la vita quotidiana del figlio, i suoi orari, i suoi impegni, le sue attività e pretendere una maggior partecipazione alla vita della famiglia

Cambiare la vita della famiglia tendendo a mantenerla più unita sia nel quotidiano sia nelle occasioni di svago. Programmando con attenzione le cose da fare senza lasciare mai momenti vuoti. È di estrema importanza che la famiglia si informi più profondamente del problema, partecipando ad incontri o dibattiti, cercando di far tesoro delle esperienze di altri genitori che hanno vissuto o che vivono il problema, frequentando l’associazione e i gruppi di auto mutuo aiuto.

– verificare costantemente tutte le dichiarazioni e le affermazioni del figlio senza aver paura di sembrare oppressivi o invadenti,

– eliminare il suo denaro personale o ridurlo al minimo con attento controllo sulle spese.

– informarsi sulle sue compagnie, specialmente quelle più a rischio, sui coetanei che sono stati coinvolti con lui nelle prime assunzioni di droga.

– non chiudersi nella vergogna o nell’isolamento pensando di essere stati colpiti da una disgrazia infamante, ma coinvolgere nel recupero di vita del proprio figlio il maggior numero di persone possibile.

– entrare in contatto con i genitori degli altri ragazzi coinvolti nel giro, informarli di quanto si e venuto a sapere e tendere a mobilitare anche loro nelle iniziative che si sono intraprese.

– sopportare con pazienza e con fermezza il recalcitrare insistente del figlio che giudicherà assurdo tutto questo, che cercherà di divincolarsi dal controllo, minaccerà rappresaglie e ricatti morali, cercherà di mettere il marito contro la moglie o la moglie contro il marito cercherà alleanze nei fratelli, negli zii, nei vicini di casa, nei parenti, ecc. per smontare e far desistere dalla fermezza. Imparare la calma di spiegare il perché di tutto sia al figlio che agli altri parenti cercando di coinvolgerli nella lotta. Mettere ciascuno specialmente le voci critiche, di fronte alle proprie responsabilità spiegando dove conduce la superficialità nei confronti della droga.

– la cosa più importante è rivolgersi a qualcuno che abbia la necessaria esperienza per poter dare aiuto e consigli. Diffidare delle proposte miracolistiche, delle cure speciali che risolvono in poco tempo il problema, diffidare delle pillole e dei ricostituenti, diffidare dei propagandisti di sogni e di illusioni.

ALCUNI TIPI DI FAMIGLIA

La famiglia ha diversi cicli vitali: la coppia di fidanzati, la convivenza dei giovani sposi, la fusione delle diverse abitudini derivate dalla famiglia di origine di ciascuno, la nascita dei figli, la loro adolescenza, gli scossoni prodotti dalla socializzazione dei figli nella società, fino al loro allontanarsi da casa per costruire una nuova famiglia.

Ogni ciclo richiede cambiamento e nuovi equilibri; se una famiglia si ferma e rimane statica finisce per diventare:

Chiusa su se stessa e difensiva

È una famiglia che è disposta a tollerare tutto, anche i comportamenti amorali, purché non si conoscano all’esterno o purché siano fatti nell’interesse della famiglia. I soli rapporti che tale famiglia mantiene sono quelli della parentela. Generalmente è una famiglia saldamente incentrata sulla figura materna. Ella tende a trattenere i figli all’interno della famiglia e compensa con il “mammismo” le difficoltà incontrate dai figli. Per tale madre i figli hanno sempre ragione e le colpe sono sempre da attribuire agli altri esterni alla famiglia.

Iperprotettiva

È una famiglia che tende a sostituirsi costantemente al figlio nelle difficoltà che egli incontra nella vita. La figura predominante è il padre che, in cuor suo, teme che il figlio “gli faccia fare una brutta figura”. Cercherà quindi raccomandazioni e vie traverse per agevolare il figlio in occasione di difficoltà nella scuola, esami per la patente, servizio militare, problemi economici, posto di lavoro, ecc. È la famiglia che, di fronte alla droga, dirà: “Ma noi gli abbiamo sempre dato tutto!” e, senza rendersi conto che il problema è proprio questo “tutto”, cercherà anche la inutile raccomandazione per far entrare il figlio in una Comunità di recupero.

Assente

È una famiglia dove all’apparenza tutto funziona, ciò che però manca è il sentimento di comprensione profonda tra i diversi membri. È una famiglia in cui i genitori discutono a tavola dei problemi più disparati, quelli del loro lavoro, quelli politici, culturali, sociali, ecc. senza rendersi conto che tali discussioni passano di molto sopra la testa e la capacita di comprensione dei figli. I figli, fin da piccoli, si sentono inadeguati ed avvertono i genitori come irraggiungibili; troppo alti per i loro problemi e sempre con la risposta pronta a tutte le questioni che tentano di sollevare. È una famiglia che, sbigottita di fronte alla scoperta della droga, dirà: “Mio figlio non sa nemmeno lui che cosa vuole”.

Scopi e i princìpi dell’Associazione

· Promuovere, attuare, sostenere azioni e programmi di prevenzione che contrastino il diffondersi nella società, specialmente nei giovani, di sostanze stupefacenti e di tutte le altre forme di dipendenza che recano offesa all’integrità della vita ed alla dignità umana e sono causa di emarginazione.

· Assicurare un adeguato sostegno e supporto ai tossicodipendenti, ai malati di AIDS e alle persone afflitte da forme di dipendenza ed emarginazione, fornendo contemporaneamente ai famigliari assistenza e indirizzi di comportamento coerenti ed efficaci per il raggiungimento degli obiettivi di recupero e definitivo reinserimento.

· Attivare collegamenti con le strutture che gestiscono Comunità residenziali per la riabilitazione e il reinserimento dei tossicodipendenti al fine di poter indirizzare le persone bisognose di aiuto verso il programma riabilitativo più idoneo alle proprie caratteristiche.

· Attivare e gestire centri di ascolto e centri di prima accoglienza, necessari a fornire concrete ed immediate risposte ai soggetti bisognosi e alle loro famiglie nell’ottica di predisposizione di programmi atti al loro inserimento presso le comunità residenziali.

· Attivare tutte le risorse disponibili sul territorio al fine di sostenere le persone che, ad ultimazione dei loro percorsi riabilitativi hanno la necessità di inserirsi nella società civile e professionale.

· Contrastare ogni opinione che ritenga normale l’uso di sostanze stupefacenti. Contrastare tutti i tentativi di legalizzazione di droghe ad uso terapeutico come ad esempio le politiche di riduzione del danno.


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